Non solo Chini. Le ceramiche a Borgo San Lorenzo nel Rinascimento
BORGO SAN LORENZO – Sei secoli prima che Galileo Chini fondasse a Borgo San Lorenzo le Fornaci, che tanto lustro hanno dato alla città, già esisteva una produzione di ceramiche.
Scarsissime e frammentarie sono le fonti documentarie circa l’origine di questa produzione nei secoli XIII e XIV; non è certo che i sei “vasellai” vissuti nel XII secolo fossero effettivamente dei produttori o solamente dei commercianti di ceramiche. Lo studioso Galeazzo Cora, nelle sue ricerche, scova un certo Lapo di Migliore, definito “orciolaio” in un contratto di matrimonio del 1344, Simone di Nanni fornitore di brocche invetriate per l’Ospedale di Santa Maria Nuova nel 1472 e un altro orciolaio fornitore di stoviglie per l’Abbazia del Buonsollazzo tra il 1483-87. Con quest’ultimo siamo alle soglie dell’età d’oro della ceramica a Borgo San Lorenzo. Nel XVI secolo in città erano infatti attive sette fornaci: Fuori porta, Sant’Andrea, Cocchi, A’Rosai, Santa Lucia, Cavalli e Monti.
I rinvenimenti ceramici del 1981 in Via Montebello sono attribuibili, plausibilmente, alla fornace A’Rosai, gestita dalla famiglia Burattini quasi fino alla fine del 1600.
Borgo San Lorenzo nel maturo ‘500 diviene il secondo centro produttivo di ceramiche ingobbiate sotto vetrina, che ebbero una larga diffusione grazie al loro costo commerciale nettamente inferiore rispetto alle maioliche. L’ingobbio è un composto simile all’impasto ceramico ma diverso per colore, che è sovrapposto all’oggetto essiccato, mentre la maiolica è composta da uno smalto a base di stagno e fondenti piombici.
Sicuramente in città giunsero maestranze anche dall’Emilia, dal bolognese, dal pisano e da Montelupo; la famiglia Sarti che gestiva una fornace era montelupina.
I primi prodotti ceramici ingobbiati sono ravvivati da una policromia tipica della Padania: il giallo ferraccio, il verde ramina e il bruno manganese ad esclusione dell’azzurro diluito che fu un colore tipico borghigiano. Le tipologie decorative erano molto varie: monocroma (bianca, gialla o verde) graffita a punta e a stecca o dipinta e l’invetriatura verde.
L’utilizzo della stecca produceva i tipici “monticelli”. La decorazione dipinta, senza alcuna graffitura era impiegata solo nei catini, prodotti molto apprezzati dal mercato dell’epoca. Il semplice rivestimento in vetrina colorata era molto usato anche per i modesti oggetti di uso quotidiano perché rispondeva alle necessità d’impermeabilizzazione dei recipienti destinati al trasporto di liquidi.
Tipica borghigiana è la realizzazione di fiasche da pellegrino, caratterizzate da decorazioni di protomi femminili. Questi prodotti erano ingobbiati e invetriati per renderli più lucidi e belli.
Altre due tecniche decorative in uso erano la schizzatura a pennello e la maculatura. La prima era eseguita schizzando letteralmente il colore sull’ingobbio, mentre la maculatura consisteva nello stendere il colore sul rivestimento vetroso che fluttuava sulla superfice nel momento in cui la silice fondeva in cottura.
Parallela alla produzione borghigiana in Mugello fu quella di Cafaggiolo, dove venivano prodotte maioliche di alta qualità. Tra le due manifatture intercorsero delle relazioni. Dagli scavi condotti a Cafaggiolo nel 2001, emersero oggetti ceramici ingobbiati e invetriati con decori tipici borghigiani. Non è da escludere che i ceramisti di Borgo abbiano lavorato per i Medici nella fornace della Villa.
Nel 1600 in Toscana ci fu una grande crisi economica che colpì anche le fornaci borghigiane. La manifattura A’ Rosai fu venduta per 140 scudi al Monastero di Santa Caterina confinante con la proprietà Burattini. Da quel momento non si hanno più notizie di produzioni ceramiche. In un documento del 1768, un’inchiesta sullo stato delle Manifatture si dice che non si ha ricordo a memoria d’uomo di alcuna attività ceramica a Borgo San Lorenzo.
Si dovrà aspettare il XIX sec per parlare nuovamente di ceramica nel capoluogo mugellano.
Veronica Vestri
©️ Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 18 luglio 2021