Pieve di San Giovanni Maggiore
BORGO SAN LORENZO – Una delle più antiche, illustri e importanti chiese del Mugello, la pieve di San Giovanni Maggiore a Panicaglia, al centro di uno dei più vasti pivieri della zona, sorge lungo il percorso della via Faentina che, da molti secoli, congiunge la zona di Firenze e Fiesole con Faenza e la Romagna. L’aggettivo che da sempre acconpagna il suo titolo, “maggiore”, è chiaro indizio della supremazia della pieve sulle altre chiese del territorio, o comunque della sua importanza, sottolineata anche dalla notizia secondo la quale avrebbe avuto fino a quattordici chiese suffraganee.
Come molte pievi mugellane, la sua fondazione risale certamente ai primi secoli dell’era cristiana (VI-VII secolo), forse in età longobarda, ma le più antiche notizie documentarie che la riguardano risalgono solo al 941. Nove anni più tardi, nel 950, risulta censuaria della mensa vescovile fiorentina per diciassette soldi annui. Pievano di San Giovanni era quel prete Ugo, protagonista di un miracolo di San Giovanni Gualberto, giunto in zona per fondare il vicino monastero di San Paolo a Razzuolo. Più volte ricordata nelle carte del monastero camaldolese di Luco (che sorgeva proprio nel piviere di San Giovanni Maggiore), a partire dall’XI secolo, nel 1165 è fatta oggetto di donazioni da parte dei suoi parrocchiani. Di grande interesse la notizia secondo la quale, nel 1211, la badia di Razzuolo, che aveva possedimenti all’interno del territorio parrocchiale di San Giovanni, fu costretta, al termine di una lite legale, a pagare la decima al pievano e a rinunciare ad amministrare i sacramenti e a seppellire nel suo proprio cimitero . Nel 1212 il suo pievano, Ranieri, a nome del vescovo fiorentino, compie permute di terreni. Ovviamente, la pieve risulta negli elenchi delle decime. Nel 1458 la pieve fu assegnata da papa Pio II Piccolomini a Leonardo Dati (1407-1471) , umanista, poeta e futuro vescovo di Massa Marittima. Nel 1490 i nobili Minerbetti vi compirono dei lavori di ripristino , prima di ottenere, nel 1513, il patronato della pieve da parte di papa Leone X, col diritto di nomina del pievano . Tra il 1510 ed il 1530 il pievano Francesco Minerbetti realizzò consistenti lavori alla chiesa ed alla contigua canonica, che con tutta probabilità assunse l’aspetto monumentale e signorile che mantiene ancora oggi . Nel 1667 il pievano Domenico di Silvestro Pananti dotò la chiesa di un nuovo altare maggiore, destinato anche a custodire le reliquie di San Domizio Martire, donate dalla nobildonna Anna Maria Acciaioli Minerbetti. Nel 1743 Valentino Felice Mannucci ha modo di descrivere la chiesa e dal suo lavoro veniamo a conoscenza delle numerose iscrizioni che vi si trovavano. All’inizio del XIX secolo (1803) all’interno dell’altare maggiore (dove ancora oggi è conservato) fu deposto il corpo del Beato Giovanni Bruni da Vespignano (1234-1331), dove ancora oggi è conservato, prelevato dalla chiesa fiorentina di San Pier Maggiore, demolita nel 1784. Ulteriori interventi all’edificio furono eseguiti nel corso dello stesso secolo, tra cui la realizzazione da parte di Pietro Alessio Chini (1843) del dipinto del soffitto e una pressoché completa ridefinizione dell’interno fu effettuata negli anni 1911-1913 ad opera dei membri più autorevoli della famiglia Chini, su progetto di Galileo e dell’ing. Niccolò Niccolai.
Malgrado le vicissitudini e gli interventi subiti dalla chiesa plebana nel corso dei secoli, ancora oggi all’esterno è riconoscibile, almeno in parte, la struttura medievale: la facciata a quattro spioventi, parte della muratura esterna e soprattutto lo splendido, robusto ma elegante campanile ottagonale svettante su base quadrangolare (la cella campanaria, in alto e realizzata in laterizio, risale ad un momento posteriore).
Si tratta certamente di una delle più significative realizzazioni architettoniche medievali della zona, risalente attorno alla fine dell’XI secolo e derivata dalle torri campanarie cilindriche ravennati, segno di un legame culturale con la civiltà artistica del mondo padano e bizantino e quindi spettante ad un costruttore padano, o comunque informato sui fatti architettonici di Romagna. Uno dei suoi più diretti ascendenti è riconoscibile nel campanile della chiesa faentina di Santa Maria ad Nives (o Vecchia), datato al IX secolo.
La facciata è preceduta da un elegante e nitido loggiato a cinque archi sorretti da colonne fornite di capitelli dorici. Tale manufatto è con tutta probabilità da riferire ai lavori risalenti al 1490, data incisa sull’architrave del portale centrale, unitamente allo stemma della famiglia Minerbetti (tre spade appuntate). Probabilmente, in quell’occasione furono chiusi i due occhi laterali della facciata e le relative porte.
L’interno, pur rispettando sostanzialmente la planimetria dell’edificio medievale (ad esclusione, senza dubbio, della scarsella terminale), si mostra nell’aspetto datogli dagli interventi otto-novecenteschi. A pianta basilicale con tre navate divise da robusti pilastri, conclusa da un’ampia scarsella e da due cappelle nella testata delle navi laterali, l’edificio presenta al centro un soffitto piano sul quale campeggia il grande dipinto raffigurante il Battesimo di Cristo, opera risalente al 1843 per mano di Pietro Alessio Chini. Si tratta di un lavoro che ben esemplifica lo stile del primo degli artisti della illustre dinastia mugellana, alla quale si deve, nella sostanza, l’attuale aspetto di questa pieve. Il dipinto, pur nel suo impianto tradizionale e accademico, mette in evidenza anche belle raffinatezze formali e dettagli decorativi di apprezzabile qualità, quali la cornice col motivo a finte mensole prospettiche. Il motivo a finto cassettone è invece opera di Dino Chini.
Nel 1912 si ebbe un ulteriore intervento di riordino dell’interno dell’edificio, curato dall’ing. Niccolò Niccolai con la collaborazione di Galileo Chini, al quale si devono le splendide vetrate con gli stemmi delle famiglie gentilizie della zona che contribuirono alla realizzazione dei lavori. Dell’intervento dei Chini, perduto il rivestimento in piastrelle nella decorazione bicroma a fasce orizzontali dei pilastri, restano diversi elementi: le riquadrature dipinte dei due altari laterali, quelle del sott’arco della cappella del fonte battesimale, la lapide dipinta posta sulla parete destra, tutte attribuibili a Dino Chini , nonché le due lapidi commemorativa dei caduti nella Grande Guerra, collocate sul muro di fondo della scarsella, dietro l’altare maggiore, le formelle con le stazioni della Via Crucis e l’acquasantiera collocata all’ingresso, presso il primo pilastro a sinistra.
Tra le altre opere d’arte presenti nella pieve, oltre al monumentale altare ottocentesco, sotto il quale si trova il corpo del Beato Giovanni Bruni da Vespignano, collocatovi nel 1803, si vedono, in prossimità dei due ingressi laterali, collocati entro altrettante nicchie delle pareti, copie dei due busti in terracotta di Tommaso Minerbetti e Bartolomea Medici, genitori di Francesco, il pievano che, agli inizi del Cinquecento, restaurò la pieve, dopo che la famiglia ne aveva ottenuto il patronato. Gli originali sono conservati nel museo di arte sacra “Beato Angelico” a Vicchio.
Sull’altare maggiore campeggia un monumentale Crocifisso ligneo, di notevole qualità esecutiva, opera nobile di un anonimo maestro toscano intorno al 1500.
Sul lato destro della navata centrale è conservato l’arredo più rilevante della chiesa: si tratta dello splendido e prezioso pulpito marmoreo, capolavoro dell’arte romanica fiorentina. La cassa poligonale sorge sopra alcune snelle colonnine marmoree con capitelli fogliacei, mentre il parapetto, è costituito da specchiature con classicheggianti cornici a ovoli e decorazioni in verde di Prato. Il manufatto, databile alla prima metà del XII secolo, per la sua semplice purissima ed equilibrata, razionale classicità, unita ad un gusto bizantineggiante della decorazione, si mostra come una delle più interessanti testimonianze della decorazione marmorea bicroma romanica fiorentina, di cui, tra l’altro, il Mugello conserva un gruppo considerevole (attuale recinzione battesimale della pieve di Sant’Agata, fonte battesimale e pulpito della pieve di Santa Maria a Fagna, fonte della pieve di Faltona).
Presso i primi pilastri della chiesa si trovano due acquasantiere con vasca a navicella, di cui la prima con stemma Minerbetti, risalente al XVI secolo, mentre la seconda probabilmente riferibile alla produzione della Manifattura Chini. Ancora alla committenza dei Minerbetti rimanda il monumentale fonte battesimale marmoreo, sulla cui vasca campeggia lo stemma della nobile famiglia fiorentina.
Il consistente patrimonio di arredi liturgici della pieve è attualmente conservato presso il museo “Beato Angelico” di Vicchio.
(scheda a cura di Marco Pinelli)
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 25 dicembre 2017
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