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PILLOLE DI FUNGHI IN MUGELLO – Funghi commestibili in Mugello – Seconda parte

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MUGELLO – Nel suo viaggio, ricchissimo di informazioni e di bellissime foto, Alessandro Francolini, continua a parlarci di un argomento che ai fungaioli mugellani sta particolarmente a cuore, quello dei funghi ritenuti buoni o ottimi commestibili e reperibili in Mugello:

Nell’articolo precedente, in particolare nei paragrafi (3), (5), (6), (7), (8) e (9), si è iniziato a stilare un elenco di specie commestibili e facilmente reperibili in Mugello. Elenco che prosegue in questa e nelle prossime puntate.

(10) “Mazza di tamburo” e “ombrellone” ma anche bubbola: sono alcuni dei nomignoli della bella Macrolepiota procera, uno dei giganti dei nostri boschi. Gigante non certo per il suo peso complessivo ma per l’altezza che può raggiungere: il suo gambo, slanciato, cilindrico e tipicamente zebrato, può infatti arrivare alla rispettabile misura di 50 cm e oltre. Nei giovani esemplari il cappello è tutto raccolto, quasi a forma di sfera, in alto sul gambo facendo somigliare il fungo alle “mazze” con cui si suona una gran cassa o un tamburo; mentre a maturità, col cappello che si apre distendendosi in certi esemplari fino ad un diametro di 40 cm, siamo in presenza di un “ombrellone in miniatura” che mostra, tra l’altro, un coreografico e vistoso anello nella parte alta del gambo. La sua carne è bianca e vira molto leggermente verso il rosa quando esposta all’aria; nei giovani esemplari ha un leggero e buon odore simile a quello della farina fresca, mentre a maturità può ricordare quello buono del brodo. Considerato un ottimo commestibile, se ne consuma solo il cappello solitamente cucinato, impanato, a mo’ di cotoletta. Il gambo può essere essiccato e poi ridotto in polvere, ottenendo un buon aromatizzante.

Di dimensioni assai più contenute (con diametro del cappello che può arrivare a 14-15 cm di lunghezza) vi sono altre specie simili e relativamente facili da incontrare nei nostri boschi come Macrolepiota konradii e Macrolepiota mastoidea; mentre, esclusivamente praticola, non è difficile vedere sui prati la bubbola buona o fungo della rugiada, cioè Macrolepiota excoriata che rappresenta la Macrolepiota più piccola avendo cappello che raggiunge al massimo un diametro di 11-12 cm. Pure queste tre specie sono classificabili come ottimi commestibili, al pari della loro “sorella maggiore” Macrolepiota procera.

Occorre tuttavia prestare una certa attenzione con la raccolta di queste specie. Se le dimensioni raggiunte dalla Macrolepiota procera a pieno sviluppo non dovrebbero dare adito a dubbi di sorta (considerando anche i particolari disegni zebrati sul gambo), vanno comunque menzionati altri funghi simili che un tempo facevano parte del genere Macrolepiota ma che successivamente sono stati inseriti nel genere Chlorophyllum; si tratta di specie tossiche, responsabili di sindrome gastroenterica più o meno grave, aventi dimensioni paragonabili a quelle della Macrolepiota mastoidea. Nei nostri boschi non è raro incontrare il Chlorophyllum rhacodes mentre non ho mai incontrato il Chlorophyllum venenatum. Si differenziano tuttavia abbastanza facilmente dalle Macrolepiota perché, oltre ad alcune particolarità riguardanti le squame sul cappello e l’anello sul gambo, hanno il gambo che, con evidenza, arrossisce o imbrunisce (viraggio verso toni rossastri) alla manipolazione oppure quando graffiato o quando reciso.

Chlorophyllum rachodes

Ancor più imperativo è l’avvertimento di non raccogliere mai specie che nell’aspetto possono grossolanamente ricordare quello delle Macrolepiota ma che hanno il cappello a pieno sviluppo (cioè quando è già ben disteso) di diametro inferiore agli 8-9 cm. Quindi una sorta di Macrolepiota in miniatura con i caratteri differenziali che (oltre alle evidenti dimensioni ridotte) riguardano le squamette sul cappello, le ornamentazioni sul gambo e l’odore. Si tratta solitamente di specie appartenenti al genere Lepiota: le più frequenti da incontrare nei boschi mugellani sono Lepiota clypeolaria e Lepiota cristata, entrambe dal cattivo e forte odore come di gomma bruciata; sono tossiche e se consumate possono provocare complicazioni gastroenteriche gravi o addirittura epatiche perché sospettate di contenere amanitine (le stesse tossine presenti nella Amanita phalloides); ancor più pericolose/mortali sono Lepiota castanea e Lepiota brunneoincarnata (che però non ho mai incontrato nei nostri boschi) in cui è certa la presenza considerevole di amanitine.

Lepiota cristata

(11) Alcune Russula considerate buoni o ottimi commestibili per le loro qualità organolettiche e facilmente rinvenibili in Mugello sono: Russula virescens, Russula aurea, Russula vesca e Russula cyanoxantha. Tutte a commestibilità libera possono essere, con la dovuta molta moderazione, consumate anche da crude in insalata. Adatte ad ogni tipo di cottura Russula virescens (da molti considerata la migliore tra le Russula) e Russula cyanoxantha; sono invece preferibili cotture veloci e a fuoco vivace (ma non la frittura a causa della fragilità della carne) per Russula vesca e soprattutto per Russula aurea. In ogni caso sono specie ottime per la preparazione di un misto di funghi trifolati. Sono tutte di relativamente facile riconoscimento per alcune loro caratteristiche riassunte qui di seguito.

Russula virescens, detta verdone (virescens in latino vuol dire verdeggiante) o colombina verde: colorazione verdastra sul cappello; cuticola tipicamente screpolata/areolata; carne cassante e molto compatta, di alto peso specifico; nei giovani esemplari la carne ha sapore buono e dolce come di noci.

Russula aurea, detta colombina dorata: colorazione del cappello che ricorda quella di Amanita caesarea; lamelle di un bel colore giallo vivo negli esemplari maturi; lamelle assai fragili che si frantumano alla minima pressione; pure la carne è assai friabile negli esemplari maturi, sempre di sapore gradevolmente dolce.

Russula vesca (dal latino vescus = mangereccio), detta colombina rosa: cuticola del cappello che spesso si ritrae verso l’orlo lasciando scoperta la sottostante carne; di colore dal rosso “vinoso” al color pesca o rosato; carne dal sapore molto dolce come di nocciole.

Russula cyanoxantha, detta colombina maggiore: come suggerisce il nome (dal greco kyanos = azzurro e xanthós = giallo) la gamma cromatica del suo cappello è molto ampia, dal viola al verde attraverso tonalità bluastre o giallastre anche se esemplari giovani possono presentare colorazioni uniformi di ciclamino. Tali colorazioni in genere sono presenti e frammiste nello stesso esemplare creando un aspetto cromatico come “metallizzato”. Carne bianca dal sapore dolce come di nocciola. Caratteristica distintiva, unica tra le Russula, consiste nelle lamelle cosiddette lardacee: premendole con un dito denunciano una certa untuosità “grassa”, unita a una particolare elasticità che ne impedisce la rottura pur sotto pressione.

Russula cyanoxantha

Vi sono certamente altre Russula commestibili (e ottime, come Russula mustelina che però è più tipica delle peccete montane alpine) ma quelle qui sopra elencate sono tra le più frequentemente raccolte in Mugello per le loro ottime qualità organolettiche. Inoltre tutte le Russula commestibili (da quelle ottime a quelle gastronomicamente insignificanti) hanno carne dolce all’assaggio: quindi la cosiddetta prova di assaggio è da considerarsi un valido metodo empirico per stabilirne la commestibilità. Ricordando però che tale prova deve essere effettuata da chi ha già un poco di esperienza micologica, quantomeno sufficiente a saper riconoscere che il fungo analizzato è effettivamente una Russula e non un fungo appartenente ad altro genere (tanto per dare un contro-esempio: giovani esemplari della tossica/mortale Amanita phalloides possono avere carne dal sapore dolciastro…). Con l’eccezione data almeno da un trio di specie (Russula olivacea, Russula alutacea e Russula vinosobrunnea) che hanno sì carne dolce all’assaggio ma non sono a commestibilità libera perché contengono tossine termolabili; quindi si tratta di specie a commestibilità condizionata e per il loro consumo sono necessarie cotture prolungate.

Tornando alla prova di assaggio e a prescindere dal riconoscimento esatto della specie, ai fini gastronomici è senz’altro consigliabile ritenere non commestibili o comunque sospette di tossicità o effettivamente tossiche e quindi tassativamente da non consumare tutte le Russula che non hanno, alla prova di assaggio, sapore dolce. Quindi sia quelle che non manifestano sapore alcuno sia quelle dal sapore più o meno amaro o sgradevole sia quelle dal sapore pungente-piccante-bruciante in varia gradazione. Non è una regola valida in assoluto ma si potrebbe dire che più la carne risulta piccante alla prova di assaggio e più la specie è tossica (come accade, per esempio, nella bellissima Russula emetica).

In molte zone, un tempo era usanza raccogliere oltre a un bel cesto di funghi commestibili anche un paio di piccole Russula dal sapore un poco piccante per dare un che di “pepato” alla preparazione complessiva di un misto di funghi per zuppe o sughi vari. Visto che in un cesto colmo di funghi due piccole Russula avrebbero costituito una scarsa percentuale complessiva, questa prassi non era considerata pericolosa (pure la famiglia della mia nonna materna, in Val d’Elsa, seguiva spesso questa pratica). Oggi è assolutamente meglio astenersi dall’imitare questi esempi!

(12) Tra le cosiddette manine o ditole, l’unica Ramaria che ho raccolto e consumato è Ramaria botrytis. Sia perché viene considerata la migliore e la sola Ramaria degna di essere consumata, sia perché è quella di più semplice determinazione: odore che non ci si aspetterebbe mai in un fungo in quanto ricorda quelle delle “caramelle alla fragola”; forma complessiva simile a un cavolfiore più o meno compatto con le ramificazioni non particolarmente allungate; apice delle ramificazioni di colore rosa-vinoso in netto contrasto con il biancastro del resto del fungo. I colori suddetti e l’odore però sono veritieri soltanto negli esemplari giovani: a maturità tende ad assumere, come per tutte le altre Ramaria, colorazioni ocra-pallido uniformemente diffuse e piuttosto smorte, potendo perdere l’odore caratteristico di bon-bon alla fragola. Il suo riconoscimento riguarda quindi unicamente esemplari giovani, diventando più problematico con esemplari maturi o vetusti. Tra le Ramaria vi sono specie fortemente lassative e addirittura pericolosamente tossiche come Ramaria formosa (caratterizzata, da giovane, dalla presenza di tre colori: bianco alla base del tronco, rosa salmone sui rami, con giallo all’apice dei rami stessi). Altre Ramaria che sarebbero commestibili sono tuttavia insignificanti perché insipide. Quindi se si vuol raccogliere una ditola limitarsi ai giovani esemplari di Ramaria botrytis che hanno buona resa sia nei misti di funghi che nella conservazione sott’olio data la compattezza della loro carne.

Ramaria formosa

(13) Un ottimo fungo dal punto di vista gastronomico ma per lo più misconosciuto da molti fungaioli è il “barbone” o “piede di capra”, Scutiger pes-caprae. In Mugello conoscevo diverse stazioni di crescita soprattutto in zona Monte Giovi ma, attualmente, in tratti non più proficui perché colpiti da ampie e intensive operazioni di disboscamento. Incontrato sporadicamente nel misto Castagno-Faggio tra la “Panoramica” e Poggio Monzagnano. Praticamente inconfondibile per le sue caratteristiche morfocromatiche, ha odore buono fungino e sapore grato e dolce come di nocciole. Grazie alla sua carne soda, compatta e saporita viene ottimamente impiegato in cucina sia tagliato a fette e poi fritto tipo cotoletta, sia tagliato a piccoli tocchetti e trifolato nel modo più semplice per condire un piatto di tagliatelle (da molti preferito rispetto al consueto condimento a base di porcini) o, infine, utilizzato per la conservazione sott’olio.

Albatrellus pes-caprae

(14) Passiamo ai funghi chiamati popolarmente “gambarelle”, “gamberelle” o “porcinelli”; sono molto frequenti nei nostri boschi mugellani, oltre ad essere reperibili anche in parchi o giardini. Si tratta di specie appartenenti ai generi Leccinum e Leccinellum: sono caratterizzate da una certa somiglianza (da lontano…) con i porcini ma subito riconosciute (da vicino…) come gamberelle per il loro gambo che, tranne in qualche specie, è slanciato, cilindrico e allungato; inoltre il gambo dei porcinelli è cosparso di squamulosità o granulosità e mai reticolato come quello dei porcini. Sono tutte specie caratterizzate dalla carne biancastra ma più o meno virante, se esposta all’aria, verso toni scuri o bluastri, dal gambo fibroso e di consistenza quasi legnosa. Commestibili ma di scarso pregio e, contenendo tossine termolabili, classificabili “a commestibilità condizionata” e perciò soggette a cottura prolungata. Talvolta utilizzate nei misti, ma solo con esemplari giovani e sodi e ad esclusione dei gambi che, troppo duri e fibrosi, risulterebbero assai indigesti. Tra le varie specie rinvenibili in Mugello (a seconda della specie, presso: Quercia, Castagno, Carpino, Nocciolo, Pioppo, Betulla): Leccinum aurantiacum, Leccinum duriusculum, Leccinum pseudoscabrum, Leccinum versipelle, Leccinellum crocipodium.

(15) Un paio di lignicoli decisamente degni di finire sulle nostre mense: si tratta dei “geloni” o “orecchioni”, Pleurotus ostreatus e dei forse più noti “pioppini” o “piopparelli”, Cyclocybe cylindracea.

L’orecchione è specie tipicamente invernale che fruttifica su legno morto come saprotrofo (ma talvolta su piante vive, come parassita) di varie specie tra cui Salice, Gelso, Faggio e soprattutto Pioppo. È considerato un ottimo commestibile ma, data la sua carne soda e un poco elastica, necessita di prolungata cottura. Lo si può tuttavia consumare sia impanato e fritto che arrostito sulla brace dopo una opportuna pre-bollitura di 4 o 5 minuti che ne ammorbidisce la carne. Si può reperire sia a livello del terreno presso le ceppaie morte che a diversi metri di altezza sulle piante ancora in piedi. Specie non confondibile con altri funghi sia per le sue caratteristiche morfologiche (il nomignolo orecchione rende bene l’idea del suo cappello a forma di ventaglio) sia per il periodo di crescita (gelone in riferimento al periodo autunnale di fruttificazione).

I piopparelli devono il nome popolare alla pianta principale adottata per fruttificare come saprotrofi o come parassiti: il Pioppo; ma si possono trovare pure su Salici, Olmi e altre essenze arboree. Specie abbastanza facile da riconoscere sia per il suo essere lignicola che per la sua morfologia che, infine, per il suo caratteristico e gradevole odore che ricorda quello della vinaccia. Reperibile, a seconda delle condizioni meteo, dalla primavera fino all’autunno inoltrato. Apprezzato fin dall’antichità, è considerato un ottimo commestibile purché in cottura si scartino, soprattutto negli esemplari troppo maturi, i suoi gambi perché particolarmente duri e tenaci.

Geloni e pioppini sono, assieme agli Champignon (Agaricus bisporus), tra le specie più coltivate industrialmente; non a caso li si possono trovare già confezionati “in vaschetta” in molti punti vendita di frutta e verdura. Inoltre, volendo provare a produrre i funghi in proprio, si trovano in commercio delle piccole balle composte da truciolato e paglia di legno vario, soprattutto di Pioppo, appositamente trattato e pastorizzato e in cui è stato inoculato micelio o di geloni o di pioppini. Seguendo accuratamente le istruzioni e ponendo le ballette in luoghi opportuni si possono ottenere dei buoni “funghi commestibili cresciuti in casa”.

Solo per curiosità e per chi ama andare per boschi, parchi o giardini anche in pieno inverno si può ricordare un altro lignicolo, saprotrofo o parassita su latifoglie (Pioppo, Salice e soprattutto Olmo) e che ama la stagione particolarmente fredda. Si tratta del “fungo dell’Olmo”, Flammulina velutipes, un fungo piccolino ma molto bello da osservare per la sua colorazione che risalta su un panorama fungino che in quel periodo dell’anno è piuttosto smorto e scarso. Considerato un discreto commestibile (confesso che io non l’ho mai assaggiato) purché sottoposto a cottura prolungata (è a commestibilità condizionata) e se ne scartino i gambi perché duri e coriacei. Particolarmente apprezzato in Cina e Giappone, ove viene coltivato e commercializzato come specie adatta per la preparazione delle zuppe a base di funghi.

(16) Vescie e simili… Vescia è il nome popolare che viene dato soprattutto alla specie Lycoperdon perlatum; poi, per estensione, vengono così chiamate pure le altre numerose specie del genere Lycoperdon (Lycoperdon mammiforme, Lycopercon echinatum, Lycoperdon lividum, Lycoperdon pyriforme, Lycoperdon molle, ecc.). Sembra che il nome popolare vescia derivi dal tardo latino vissire = emettere aria. In effetti è proprio un nomignolo azzeccato, pensando al caratteristico “sbuffo” con cui i Lycoperdon, a maturità e sotto sollecitazione, “soffiano” fuori la polvere marroncina composta da migliaia di spore mature. Per inciso Lycoperdon è composto da due parole greche: lýcos = lupo e pérdomai = emettere aria; quindi proprio col significato letterale di “peto di lupo”. Sono tutte specie commestibili pur di non eccessivo valore gastronomico; volendole consumare (ma fondamentalmente è solo L. perlatum che viene utilizzato in cucina) ci si deve limitare agli esemplari giovani e ancora sodi, immaturi, la cui carne (detta gleba) sia perfettamente bianca e compatta. Possono essere cucinate fritte o inserite nel misto di funghi.

Più interessanti dal punto di vista gastronomico sono le specie del genere Calvatia perché assai più grandi in dimensioni e di conseguenza più carnose e di maggior pregio. Soprattutto la praticola Calvatia utriformis: una volta tagliata a fette, sufficientemente salata (visto che ha carne dolce) e impanata ha un’ottima resa in frittura purché, anche in questo caso, si scelgano esemplari con la gleba ancora perfettamente bianca e compatta.

Bibliografia dei testi consultati

(1) A.M.I.N.T., a cura di_ Tutto Funghi – Cercarli, riconoscerli, raccoglierli_ Giunti Editore, Firenze, 2015
(2) AUTORI VARI_ Parliamo di funghi (vol. 1) ecologia, morfologia, sistematica_ Giunta della Provincia Autonoma di Trento_ 2007
(3) AUTORI VARI_ Parliamo di funghi (vol. 2) tossicologia, commercializzazione, legislazione_ Giunta della Provincia Autonoma di Trento_ 2007
(4) MAZZA, Riccardo_ Per non sbagliare fungo. Guida al riconoscimento delle specie tossiche e non eduli e delle somiglianti commestibili_ ROMAR Editore, Segrate, 2021
(5) TRINCI, Cecilia_ I nomi dei funghi in Toscana_ Libreria editrice fiorentina, Firenze, 1976


Per recuperare le puntate precedenti:

“Pillole di funghi”: la nuova rubrica curata da Alessandro Francolini

PILLOLE DI FUNGHI IN MUGELLO – Il Genere Amanita

PILLOLE DI FUNGHI IN MUGELLO – Qualche Amanita mugellana – prima parte 

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PILLOLE DI FUNGHI IN MUGELLO – Curiosità storiche sul nome “Boletus”: etimologia e vicissitudini – Prima parte 

PILLOLE DI FUNGHI IN MUGELLO – Curiosità storiche sul nome “Boletus”: etimologia e vicissitudini – Seconda parte 

PILLOLE DI FUNGHI IN MUGELLO – Funghi commestibili in Mugello – Prima parte

Alessandro Francolini
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – ottobre 2025

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