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Home»Copertina»“Pillole di funghi”: la nuova rubrica curata da Alessandro Francolini
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“Pillole di funghi”: la nuova rubrica curata da Alessandro Francolini

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MUGELLO – Alessandro Francolini, borghigiano, è un grande esperto di funghi. E i funghi non mancano certamente nei boschi del Mugello. Manca magari la giusta conoscenza. Per questo siamo grati a Francolini per la sua disponibilità ad avviare sul Filo una rubrica micologica

“Come? Hanno inventato dei medicinali a base di funghi?!?”

Certo! E non da ora ma da svariati millenni; basta fare una piccola ricerca sulla Medicina tradizionale cinese o giapponese o, più genericamente, su quella dell’Asia Orientale per rendersene conto.
Ma nelle successive puntate di Pillole di funghi… non si tratterà della nostra salute in riferimento agli effetti benefici (veri o presunti che siano, a seconda dei punti di vista) che alcuni funghi come il luccicante Ganoderma lucidum o il curioso Hericium erinaceus, una volta trattati opportunamente e trasformati in pillole medicinali (micoterapia), possono apportare al nostro organismo.
Tutt’altro!

Per colpa dei reiterati inviti da parte di Paolo Guidotti (che di conseguenza si prenderà tutte le responsabilità del caso) proverò ad aprire una rubrica in cui proporre alcune riflessioni di carattere… fungino. In effetti la nostra meravigliosa vallata del Mugello, grazie alla sua specifica conformazione e alla generosa varietà di habitat boschivi che sa offrire (almeno quelli che resistono alle sempre più numerose operazioni di disboscamento), ha anche il pregio di essere un paradiso per i cercatori di funghi in senso lato; e cioè intesi, i cercatori, nel senso più ampio e generico possibile; definibili, in altra e talvolta ambigua parola, come fungaioli. Certamente il Mugello di cercatori di funghi ne annovera una bella moltitudine: può darsi che qualcuno di essi sia interessato a questa rubrica, così come sarà probabile che un discorso del genere passi inosservato o rifiutato dai più.

Ganoderma lucidum

Inevitabilmente e per colpa della suddetta ampia genericità, in questa rubrica alcune riflessioni potranno urtare la suscettibilità di una parte dei lettori. Per esempio: grammaticalmente ed eticamente scorretto definire come fungaiolo un ricercatore (da non confondere con cercatore), un biologo che si è specializzato in Micologia e che, microscopio alla mano (se non, addirittura, col sequenziamento del DNA), sta studiando alcuni funghetti raccolti nel bosco per determinarne la specie o per qualche suo scopo scientifico. Così come, andando agli antipodi ecologici rispetto al precedente micologo, mi risulta faticoso definire come fungaioli le persone affette da idiozia irrimediabile e che bastonano i funghi incrociati nel bosco solo perché colpevoli di essere dei “fungacci” mentre da una certa distanza avevano creato l’illusione di essere proprio dei porcini. E ci torneremo altre volte sul concetto e sull’uso lessicale di quel “fungacci”, dispregiativo tipicamente toscano…

Prima o poi, in articoli successivi, scoraggerò l’impiego alimentare di alcune specie perché ormai ritenute tossiche o quantomeno sospette, e probabilmente irriterò quei fungaioli che “É una vita che in famiglia li mangiamo e non ci hanno mai dato dei fastidi”. Nessun problema: ognuno può scegliere di farsi del male come meglio crede. Il problema, semmai e soprattutto, sussiste quando questa scelta rischia di danneggiare gli altri.

Ganoderma lucidum

Mi dispiace fin da ora (e me ne scuso) se qualcuno storcerà il naso quando dei funghi ne leggerà il nome scritto nel modo universalmente corretto. Nome scientifico, nomenclatura binomiale: epiteto del genere seguito dall’epiteto specifico; cioè l’unico modo certo per non creare equivoci. Anzi, a voler essere pignoli, occorrerebbe specificare anche l’autore (con i sanzionatori, se presenti) e l’anno della relativa accettazione a livello sistematico. Insomma la vera e propria carta d’identità di quella data specie, prescindendo dai solitamente numerosi sinonimi scientificamente validi ma ormai ritenuti superati. Non mancheranno certo anche i nomignoli locali (ma vai un po’ a decidere quale scegliere tra i tanti esistenti e spesso diversi da zona a zona…) perché solitamente frutto di una sana e brillante operazione nomenclaturale che affonda le proprie radici nella tradizione popolare e nell’impiego fantasioso, simpatico e coloritamente appropriato della lingua parlata; purché si capisca sempre, dal contesto, di quali specie o generi si stia trattando.

D’altra parte in questa rubrica si toccherà spesso anche l’aspetto alimentare legato alla raccolta dei funghi e, checché ne dica una buona parte dei fungaioli, un fungo è perfettamente conosciuto quando se ne possa determinare con estrema sicurezza nome e cognome, cioè il suo corretto nome scientifico; e, ancora meglio, quando si riesca a distinguerlo dalle specie simili o potenzialmente sosia. Solo allora saremo certi (con le dovute eccezioni, che purtroppo non mancano neanche in questo campo) sul suo grado di commestibilità (e perciò se conviene metterlo nel cesto dopo averlo rubato al bosco) o di tossicità con le infinite caratterizzazioni intermedie.

Prendendo spunto dalle specie sopra menzionate possiamo iniziare a prendere confidenza con la nomenclatura scientifica, con le caratteristiche morfocromatiche di una data specie e con alcuni degli argomenti ad essa correlati; caratteri che saranno sempre molto generali e mai riguardanti microscopia o analisi del DNA.

Ganoderma lucidum (Curtis : Fr.) P. Karst. 1881; si tratta di un lignicolo abbastanza comune e curioso da osservare per la lucidità della superficie e per la sua caratteristica forma, col cappello posto lateralmente rispetto al gambo; il che, assieme alla estrema durezza della carne, gli ha valso il nome popolare di fungo pipa; non è tossico ma neanche commestibile in quanto è decisamente coriaceo e legnoso. Il nome del genere si compone di due parole greche: ganòs = lucentezza e dèrma = pelle; quindi, alla lettera: con la pelle lucente, lucida. L’epiteto specifico deriva invece dal latino lùcidus = lucente, lucido, ribadendo così il concetto della lucidità della sua superficie che si presenta solitamente come laccata.

Conosciuto in Cina come Ling-Zhi mentre in Giappone è noto come Reishi; in entrambi i paesi viene raccolto o coltivato (essendo una specie lignicola di non difficile coltivazione) e viene commercializzato per uso medicinale (micoterapia) poiché risulterebbe efficace nella cura di molti mali. Sono inoltre già molti anni che prodotti medicinali a base di Reishi vengono regolarmente reperiti anche nelle nostre farmacie.

Hericium erinaceus (Bull.) Pers. 1797; l’etimologia del nome la dice lunga sulla sua curiosa morfologia. Entrambi gli epiteti derivano dal latino erìcius = riccio, e ne suggeriscono l’aspetto. Infatti, se non fosse per il colore, a prima vista l’Hericium erinaceus potrebbe ricordare, soprattutto se reperito a livello del suolo, quel simpaticissimo mammifero noto come Riccio comune (Erinaceus europaeus) quando, in presenza di pericolo, si contrae appallottolandosi su se stesso.

Si tratta di un fungo parassita, non troppo frequente nei nostri boschi, dalla forma complessiva rotondeggiante e compatta, di colore biancastro da giovane, con tendenza a ingiallire e a imbrunirsi con l’età. Caratterizzato dalla presenza di aculei regolari, penduli e morbidi che ne ricoprono tutta la parte esposta all’aria. È fornito di un grosso bulbo basale con cui attecchisce al legno di piante viventi, in particolare Faggio e Quercia, sia alla base della pianta ospite ma anche a notevole altezza da terra. Dalla base si dipartono, in stretto contatto tra loro, vari rami carnosi, bianchi, di consistenza cotonosa, che si dividono a loro volta negli aculei superficiali su cui si trova l’imenoforo. La sua particolare morfologia gli ha valso una colorita varietà di nomi popolari, tra cui: criniera di leone, barba di satiro, fungo riccio, testa di scimmia, ecc.
Utilizzato da secoli nella micoterapia della Medicina tradizionale cinese in quanto ritenuto efficace nella cura di alcune patologie (ulcere gastriche, carcinomi esofagei, diabete, ecc.).

Riguardo alla questione dell’efficacia della pratica micoterapica e delle ricerche che anche in Occidente vengono effettuate per provarne o confutarne la validità, non è certo questa la sede per discuterne. Probabilmente nella micoterapia ci sarà qualcosa di vero visto che nella Medicina tradizionale orientale è da alcuni millenni che molte specie fungine vengono trattate opportunamente (solitamente essiccate, poi polverizzate e miscelate con altre sostanze prima di ingerirle) per trarne vantaggi medicamentosi; così come probabilmente ci sarà qualcosa di vero anche nello scetticismo che la Medicina moderna (occidentale) mostra sull’argomento. Viene infatti ribadito più volte che la Medicina moderna è contraria alla pratica della micoterapia in quanto non risultano dimostrate scientificamente né la sua efficacia né la sua sicurezza d’uso.

Da parte mia non posso nascondere la perplessità nel constatare che quasi tutte le specie fungine utilizzate nella micoterapia mostrano forme particolari, curiose, insolite; in definitiva con una morfologia “strana” o alternativa se messa a confronto con la forma consueta con cui, nell’immaginario collettivo, si rappresenta un fungo, cioè col “banale” portamento ad ombrello: gambo centrale sovrastato in modo simmetrico e regolare da un cappello circolare.

Per rendersene conto basta andare sul web e cercare immagini non solo del fungo pipa (Ganoderma lucidum) o del fungo riccio (Hericium erinaceus) ma anche delle seguenti specie ben rappresentative della schiera dei funghi della micoterapia (ricordiamo che nella micoterapia si parla sempre di funghi macroscopici, mai di microfunghi): Auricularia auricula-judae, Cordyceps militaris, Ganoderma carnosum, Ganoderma applanatum, Grifola frondosa, Polyporus umbellatus, Trametes versicolor, ecc.
Tutti funghi bellissimi ma, guarda caso, sempre molto particolari e con delle forme che eccitano la fantasia; quindi niente a che vedere con un semplicissimo porcino come il noto Boletus edulis o con una comune russula e, di nuovo guarda caso, nessuna specie tra boletacee o russulacee viene impiegata nella micoterapia.

Insomma non posso fare a meno di fare un paragone con altre terapie farmacologiche orientali (ma stavolta quantomeno… stravaganti) che impiegano prodotti inconsueti o perché rari o strani o perché ricavati da animali “nobili”; e il pensiero corre, per esempio e con orrore, all’uccisione di un rinoceronte, di una tigre o di un leopardo per ricavarne quelle parti (corno, denti, pelli o altro) impiegate poi nella Medicina tradizionale orientale; impiego per fortuna sempre più contrastato dalle leggi promulgate dai governi locali ma ancora purtroppo frequente a causa del bracconaggio.

Viceversa, entrando nel campo della Medicina moderna, è universalmente noto come grazie al mondo dei funghi siano stati “scoperti” dei principi medicinali attivi, fondamentali per la salute o il benessere dell’uomo. Basti pensare alla penicillina (vari antibiotici isolati dai prodotti del metabolismo di alcune specie di funghi del genere Penicillium), ai lieviti (molti e particolari funghi unicellulari utilizzati, ad esempio, nella produzione del pane, della birra, del vino, ecc.), alle cyclosporine (farmaci utilizzati, ad esempio, per prevenire il rigetto di trapianto di organi; estratte dal fungo Tolypocladium inflatum), ad alcune della cosiddette muffe indispensabili per realizzare particolari tipi di formaggi (per esempio il fungo Penicillium roqueforti impiegato per produrre il Gorgonzola, lo Stilton o il Roquefort).

Vero è che gli ultimi esempi qui sopra proposti riguardano esclusivamente il mondo dei microfunghi… e allora vorrei ritornare al bellissimo fungo riccio in modo da spezzare una lancia anche a favore di una specie macroscopica. Da uno studio effettuato da vari ricercatori delle facoltà di Scienza e Botanica, di Biologia e di Biotecnologia dell’Università di Pavia risulterebbe che dall’Hericium erinaceus si possono estrarre delle sostanze importanti per combattere la degenerazione delle cellule del cervello, come le malattie neuro-degenerative tipo l’Alzheimer. Esperimenti effettuati su varie popolazioni di cavie sembrano confermare tale ipotesi. Qui però non si tratta di micoterapia, ma di Medicina moderna con tanto di sperimentazione, ricerche ed analisi di laboratorio, test vari e ripetuti, ipotesi la cui validità dovrà essere avvalorata da ulteriori e numerose prove e controprove; senza quindi trarre conclusioni da accettare aprioristicamente ma operando sempre e comunque nel rispetto del metodo scientifico.

Alessandro Francolini

______

Nella prossima puntata cercheremo di conoscere un po’ più da vicino il Genere Amanita e alcune delle sue specie più rappresentative, facilmente rinvenibili anche in Mugello —

© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – giugno 2025

funghi Mugello
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