Rassegna Storica Toscana recensisce il libro sulla storia politica del Mugello negli ultimi decenni “Fine dell’egemonia di sinistra”
MUGELLO – Di recente “Rassegna Storica Toscana”, prestigiosa rivista culturale, organo della Società Toscana per la Storia del Risorgimento, semestrale, diretta da Sandro Rogari, ha recensito, con un lungo articolo del professor Fabio Bertini, già docente di Storia all’Università di Firenze, il libro pubblicato nel 2020 dal Filo “Fine dell’egemonia di sinistra? Il Mugello da roccaforte rossa a terra non più inespugnabile” di Matteo Guidotti. E’ una approfondita recensione, e volentieri qui la pubblichiamo, su gentile concessione della casa editrice della rivista, Olschki di Firenze.
La recensione di Rassegna Storica Toscana, in formato pdf
LA RECENSIONE di Fabio Bertini
MATTEO GUIDOTTI, Fine dell’egemonia di sinistra? Il Mugello da roccaforte rossa a terra non più inespugnabile, Borgo San Lorenzo, Il Filo, 2020, pp. 301
L’uso, nel titolo, della formula interrogativa e inoltre della doppia negazione, mostra la delicatezza del tema e dell’incertezza legata ad una storia così controversa quale è quella, nel lungo periodo, del Mugello. Si tratta di un caso di studio estremamente importante e ben impostato secondo il criterio metodologico applicato a un territorio particolarmente significativo come indica con brevi ed efficaci tratti Alessandro Chiaramonte nella prefazione. L’Introduzione dell’Autore dà conto del percorso storico segnato da un’apparente contraddizione, quella di un territorio che è stato nei primi decenni dello Stato unitario roccaforte della conservazione o, al più, di un’idea di progresso moderato, con forti influenze cattoliche, che ha affrontato l’emergere del fascismo con posizioni diverse tra le varie località per poi indirizzarsi su un deciso orientamento a sinistra maturato tra gli anni della Liberazione e il dopoguerra e riflesso nel voto elettorale politico e amministrativo.
Non sfugge come le principali coordinate siano di tipo culturale, di tipo istituzionale e di tipo economico sociale legato al modello produttivo. Le fasi indicate corrispondono a ben individuate fasi attraversate dal territorio che va dall’Appennino alla Sieve, e che aveva a fondamento un sistema agricolo articolato, nel quale però aveva un ruolo centrale la mezzadria. Fino a fine Ottocento-primi del Novecento si trattava di un sistema in equilibrio, legato alle consuetudini del patto colonico, largamente dominato nei secoli dal principio dell’autoconsumo. Già l’Ottocento, però aveva fatto intravedere qualche crepa, intorno a cui del resto gli ambienti più preparati ragionavano almeno dagli anni Trenta. Da una parte consapevoli dell’arretratezza del sistema colonico rispetto alle nuove impostazioni dell’economia che privilegiavano il mercato e da questo attratti vedendo come vi fosse in un rinnovamento la possibilità di aggiungere ricchezza alal semplice rendita. Dall’altra, percepivano i rischi dell’allinearsi in Toscana alle prospettive delle società avanzate che già avevano offerto il profilo della moderna questione sociale, fonte di moti, movimenti, ispirazioni rivoluzionarie, perfino partiti o embrioni di partito.
La soluzione migliore era parsa, l’assunzione di responsabilità nella gestione di fattore e tenute, la formazione di un personale tecnico in grado di misurarsi con le moderne tecniche agrarie, e cioè fattori o agenti di beni di nuovo stampo, e nel miglioramento delle condizioni dei contadini, sia dal punto di vista igienico e abitativo, sia dal punto di vista dell’istruzione, tanto più che appariva sempre più irricevibile da parte dei contadini il contenuto di certe norme del patto colonico in palese contraddizione con i tempi e con i principi ormai affermati nei sistemi liberali.
Non condivisa da buona parte della classe dirigente agraria, la percezione aveva finito per far prevalere la conservazione e, di conseguenza, a fronte dei problemi presentati dai nuovi sistemi di coltivazione, dai concimi, ai fertilizzanti, alle piantagioni utili a contrastare le malattie degli alberi, all’impiego delle grandi macchine, tutto il sistema si trovò impreparato. Anche se l’eco delle prime agitazioni mezzadrili, nell’Aretino-Senese-Umbro e poi nel Fiorentino dei primi anni del secolo, lambirono appena e poco la mezzadria mugellana, il problema restava e si univa anche lì ad altri, come l’attacco portato dalle leggi forestali alle popolazioni bracciantili, già messe a prova dalla disoccupazione generata anch’essa dai nuovi metodi.
Su questa base, la continuità tra la conservazione dell’ordine sociale fu mediata con il bisogno di cambiamento dalle forze anti-socialiste più sensibili alla questione sociale contadina e fu il motivo per cui ebbe parte rilevante il movimento cattolico vicino al modernismo e alla democrazia cristiana murriana. Mentre il socialismo, nelle sue diverse articolazioni, non coglieva l’importanza delle classi contadine, dei mezzadri e dei piccoli proprietari, si apriva un fronte nel movimento cattolico in cui, dietro la radicale opposizione sui principi, tra Modernisti e Opera dei Congressi, poi risolta d’autorità con nuovi soggetti, c’era la condivisa volontà di intervenire con strumenti operativi. La messa in opera di Casse rurali, la creazione di leghe in cui avevano grande parte i parroci, e così via contribuirono a un importante leva sociale che creava anche quadri e capacità organizzative.
Ciò spiega un successo che consentì al Partito popolare dopo la prima guerra mondiale di mostrare un forte radicamento, tanto da essere in grado di contrastare la forza dei socialisti tardivamente arrivati a comprendere l’importanza delle categorie, oltre quella dei braccianti che avevano cominciato a coinvolgere. Tutto questo metteva in conflitto la parte sociale del Partito popolare, quella cioè legata alle leghe, con il Padronato agrario e ciò spiega come il Mugello-Val di Sieve delle Leghe bianche fosse oggetto del primo attacco mortale dello squadrismo fiorentino, prima ancora che l’obbiettivo si rivolgesse contro i “rossi”.
La successiva alleanza delle Gerarchie cattoliche con il Fascismo, mentre le conquiste del patto colonico venivano immediatamente ridimensionate dal 1923, preparavano scenari diversi, un terreno di semina per la successiva alleanza rafforzata nei mesi della Resistenza e poi generatrice del patto tra una parte delle classi contadine e in particolare del Partito comunista, senza però che si perdesse il legame organizzativo, vera e propria trama di base, attraverso le parrocchie con il mondo cattolico, uscito anch’esso forte dallo stesso periodo. A quel periodo giungevano anche altri cambiamenti che il libro illustra e, specialmente, il rafforzarsi di un tessuto di piccola e media industria nell’area fiorentina e pratese che, specialmente nel dopoguerra, cominciò ad attrarre soggetti della campagna, determinando bisogni ed effetti che si riflessero sul paesaggio stesso del territorio, prima di tutto sul piano dei collegamenti giungendo al culmine con la creazione dell’Autostrada del Sole, un evento che spostava addirittura il baricentro del territorio dai paesi tradizionali, Borgo San Lorenzo in primis, alla “periferica” Barberino che tale non era più. E intorno a questo l’approfondirsi della trasformazione economica che metteva al centro media industria, grande industria, piccolo e grande commercio, e intanto cominciava a guardare al turismo.
Intorno ai processi indicati si sono generate le condizioni del voto, l’elemento che costituisce il nucleo fondamentale del libro, un’analisi che va, dapprima, dalle elezioni del 1946 per la Costituente alle politiche del 1972. I dati forniti illustrano l’indubbio predominio comunista, tendenzialmente superiore, per il voto politico, nella media mugellana, alla media toscana, come del resto, sia pure in dimensione minore, accadeva per i socialisti, all’opposto del dato riguardante la democrazia cristiana. Con situazioni differenziate da comune a comune, il dato si rispecchiava nelle elezioni amministrative, con gli estremi di Barberino, San Piero, Vicchio, dove la maggioranza consiliare comunista andava dal 76,6% al 78,5%, mentre più equilibrato il confronto con i democristiani appariva a Scarperia. Ciò al netto dell’Alto Mugello, area dei tre comuni di Firenzuola, Marradi e Palazzuolo, in cui a prevalere nelle elezioni politiche era il voto democristiano, con picchi nel 1948 e nel 1958. Delle tre realtà, quella più variabile, nel lungo periodo, doveva essere Firenzuola, giunta ad avere una Giunta di sinistra nel 1976.
La parte successiva, che potremmo definire dall’apogeo alla crisi, riferendosi al Partito comunista che sembra oggetto principale dello studio si conclude con la cosiddetta svolta della Bolognina, la precipitosa e sorprendente decisione di mettere in liquidazione la forza politica di un Partito la cui tendenza riformista era ormai ben affermata e non così a rischio di precipitare insieme alla caduta del comunismo sovietico. Il Mugello è specchio delle tendenze elettorali, avviate con il voto politico del 1976, quel Partito continuava ad essere ben al di sopra della media toscana, a sua volta ben oltre quella italiana. Era la fase successiva al referendum sul divorzio e aveva per contrappunto la crisi della Democrazia cristiana, in un contesto di acclarata difficoltà dei partiti da tempo affiancati o scavalcati o, ancora, erosi, dai movimenti esterni al sistema, situazione su cui il libro si diffonde ampiamente presentando situazioni ed esempi locali e illustrando un tema allora di forte attualità, quello delle cinghie di trasmissione, antico concetto leninista adattato alla realtà riformista.
È l’occasione per cercare di definire le identità, quella comunista, nata sulla capillarità organizzativa del Partito nuovo, quanto a dire ex novo, rispetto alla rete cattolica nata nei primi decenni unitari e tale da consentire a suo tempo l’innesto nella società politica del Partito popolare, poi trasferita senza troppe discontinuità nella Democrazia cristiana. Con le dovute differenze da comune a comune, lo schema comunista fatto di penetrazione tra la gente e di ampia diffusione di messaggi semplici e mirati, di un tesseramento curato nei dettagli, di tutto un lavoro costruito intorno al giornale di partito, doveva risultare efficace. Era del resto non meno sostanziosa la rete organizzativa concorrente che sommava ai capisaldi della fede popolare, delle consuetudini secolari, la diffusione dei circoli e altri luoghi della sociabilità che continuava ad avere inveterato riferimento alle parrocchie, alle pievi e quant’altro. Se dà bene il senso della sfida tra due “chiese” è indubbio come quella storica avesse dei vantaggi per cui il successo ottenuto da quella “partito nuovo” ha rivelato in quei decenni indubbia capacità. Tuttavia, si comprende come fosse assai più fragile il riferimento fideistico, esposto al vento delle incertezze ideologiche. Non che non mancasse il tema dalla parte cattolica, in quegli anni esposta a una intensissima dialettica intera alla Chiesa, ma, salvo casi estremi, all’ombra di un principio di obbedienza che, affondando nel sacro era sicuramente più saldo perfino in una società in camminata verso l’apparente scristianizzazione.
I numeri che il libro riporta con grande accuratezza mostra come la forza comunista nel Mugello fosse capace di contrastare le tendenze nazionali, cominciare dalle molte giunte social-comuniste esistenti, tra il 1975 e il 1980, in un quadro politico nazionale diverso, del quale comunque va sottolineata la continuità di un dato l’indiscussa maggioranza relativa della Democrazia cristiana in corso dal 1946. Emerge in sintesi, la tenuta di un quadro locale indipendente dalle variabili nazionali, dal centrismo, al centro-sinistra, ai monocolore, ai centro-sinistra organici, alla solidarietà nazionale, il contesto in cui il cambiamento epocale pareva in atto e fu stroncato per volere internazionale e interno con l’assassinio eseguito di Aldo Moro di cui si assunsero il compito le Brigate rosse.
Veniva impedito così, come altre volte era accaduto quell’incontro tra forze sociali recanti bisogni e aspirazioni condivise, ma tenute separate quando con motivazioni ideologiche, quando con metodi violenti, quando con drammatici eventi come quello del 1978. Tanto più questo quando appariva concreta l’unità sindacale di elementi fiancheggiatori come le grandi confederazioni, giunte all’orlo della unificazione, anch’essa fermata per disposizione degli stessi attori.
Il libro mostra la situazione all’indomani di quella fase, la tenuta del Partito comunista nel Mugello a fronte del ripiegamento nazionale osservabile già nel 1979, mentre cominciava a ridefinirsi l’identità del Partito storico della Sinistra, il Partito socialista che, con l’avvento di Bettino Craxi guadagnò poi in carisma e visibilità. Ciò accadeva a fronte di un cambiamento epocale nel sistema produttivo italiano che cominciava a conoscere i primi segnali della crisi del sistema di fabbrica. Il territorio era ormai sede di una programmazione a più livelli, da quello regionale avviato da un decennio, a quello intercomunale a quello locale, e riguardava un Mugello la cui trasformazione si compiva, iniziata con l’autostrada del Sole ed avviata a comprendere il lago di Bilancino, poi l’alta velocità ferroviaria, sperimentando nuovi assetti stradali e nuova identità economica, tra piccola e media impresa e nuova agricoltura capitalistica o cooperativa, con crescente importanza del grande commercio e del turismo.
Era lo sfondo di un grande mutamento sociale e non poteva non avere risvolti politici. Le differenze e le continuità erano ben illustrate dai dati che il libro riporta sulle elezioni amministrative del 1985 e del 1990, da cui si vedono le permanenze, i monocolori comunisti di Barberino, Dicomano e Vicchio, la “decolorazione” a Borgo San Lorenzo, con una giunta comunista-verde, il prevalere del bicolore Democrazia cristiana-Partito socialista Firenzuola, Marradi, Palazzuolo sul Senio, San Piero a Sieve e Scarperia. Era il declino del Partito comunista, ma lo era anche del sistema dei partiti andato ad infrangersi sull’eco internazionale della caduta del muro di Berlino e sulla vicenda di Tangentopoli. Visti i protagonisti osservati dal libro fin qui, la ricostruzione poteva anche chiudersi. Si riapre invece con gli ultimi capitoli che potremmo considerare un secondo volume.
Nella fase aperta dalle elezioni politiche del 1992, certe tendenze non si perdevano. I due partiti che, ciascuno a suo modo, erano eredi del Partito comunista, il Partito democratico della sinistra e Rifondazione comunista avevano consensi superiori alla media toscana e, ancor più a quella nazionale e così era anche per il Partito socialista. La Democrazia cristiana era più o meno nella media toscana ma al di sotto della nazionale, gli altri partiti erano al di sotto di entrambe. Stava per determinarsi un quadro confuso, in cui il Mugello fu sede di esperimenti, quale la candidatura dell’ex magistrato Antonio Di Pietro al Senato, in un quadro sicuramente reso meno nitido alla mancanza di riferimenti ideologici, a cui si aggiunse poi, sul piano amministrativo, l’elezione diretta dei sindaci, altro elemento tendente a ridimensionare il principio della rappresentanza esaltando quell’ideale uninominale che aveva caratterizzato decenni prima, nelle elezioni politiche, il sistema liberale post-unitario. Il senso storico del partito veniva ulteriormente ridimensionato mentre si affermavano le liste civiche cui sarebbe stato difficile in diversi casi assegnare un limpido riferimento di destra o di sinistra.
Giustamente il libro parla, a proposito delle elezioni amministrative del 1995, di “nuova mappa del potere locale” anche se, in qualche caso, i nomi degli eletti consentono di ricostruire le continuità con il periodo precedente per cui la lettura dei dati è da compiere soprattutto in questa chiave, data la grande varietà delle etichette di lista che venivano presentate, dove spesso l’identificativo era “insieme per” o simile con il nome del Comune, da cui non si poteva evincere, qualora ci fosse, l’ispirazione ideologica o, per usare un termine agostiniano, quale fosse la agognata “città di Dio”, laica o religiosa, desiderata. Più limpido era l’orientarsi nelle elezioni politiche, dove era più facile riconoscere gli orientamenti e i legami con il passato di riferimento. Alle elezioni politiche del 1994, la media del Mugello per il Partito democratico della sinistra era appena superiore alla toscana e, di molto, alla nazionale, così come accadeva per Rifondazione comunista, mentre il terzo soggetto, Forza Italia, legato soprattutto a un personaggio, era inferiore alla media toscana e ancor più alla media nazionale. Più difficile era individuare l’eredità democristiana anche se il Partito popolare italiano era ben al di sopra delle altre due medie, mentre il Patto Segni, entità presidenzialista, era al di sotto di quella toscana e quasi in linea con la nazionale. Il Partito socialista che perdeva tasselli andati a confluire in Forza Italia mostrava in Mugello tenuta, superando e non di poco le due altre medie, facendo ritenere nel complesso che l’ideale di centro-sinistra prevalesse ancora, visto il saldo negativo di Alleanza nazionale, simile a quello della lega la cui collocazione appariva atipica comunque.
Il Mugello dunque rimaneva un puntello importante della Toscana che cercava di resistere al consenso che il leader di Forza Italia era riuscito a conseguire promettendo insieme una nuova epoca liberale e un grande salto in avanti dell’occupazione, diade di per sé possibile se non fosse stato sottintesa, per molti, un’identità tra i termini liberale e liberista, adottando il quale la quadratura del cerchio risultava impossibile. A tutto questo si aggiungeva la riforma elettorale che riservava una quota di seggi al sistema uninominale, ad ulteriore erosione del principio rappresentativo proporzionale, con risultati di cui il libro dà puntualmente conto, mentre individua nelle conseguenze del voto, almeno in quelle positive per la sinistra cui aveva contribuito il Mugello le radici del successivo passaggio la costruzione del cosiddetto Ulivo. Non seguirò puntualmente il complesso insieme di varianti succedutosi da allora, con approdo poi al Partito democratico che nasceva con l’idea di tenere insieme culture fino ad allora fieramente antagoniste. Era tutto il quadro di un confronto tra la Destra e la Sinistra che si ridisegnava, molto spesso recando le cicatrici delle riforme che cancellavano via via il proporzionale con curiose formule miste. Preciso e puntuale nell’esporre risultati e protagonisti locali inquadrati nelle coordinate nazionali, il libro approda ad una definizione calzante quando cerca gli “aspetti generali di un contesto sempre più fluttuante”, rasentando così l’ossimoro che non è dell’autore, ma del sistema politico.
Fabio Bertini
(da Rassegna Storica Toscana, Anno LXVIII – n. 1 – gennaio-giugno 2022
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 4 dicembre 2022