Chiesa di Santa Maria a Collebarucci
BARBERINO DI MUGELLO – Il territorio di Barberino costituisce uno straordinario bacino di testimonianze architettoniche e artistiche in cui spesso si riconoscono i simboli e le radici storiche dell’intera regione mugellana. Ogni angolo, ogni promontorio o avvallamento di questo ambiente di unione alle zone più alte e a quelle pianeggianti della valle, è pronto a sorprenderci con resti di grande valore storico che si integrano con armonia ad un luogo unico e dal grande fascino naturalistico.
Spesso si tratta di resti di castelli medievali, di sontuose ville rinascimentali o di epoca successiva, anche se in massima parte il “tesoro” più prezioso deve senz’altro attribuirsi ai luoghi di culto, ed in particolare alle chiese. Escludendo i piccoli oratori e le cappelle private, le chiese in questo territorio superano agevolmente le 25 unità e costituiscono un patrimonio di arte e cultura difficilmente eguagliabile.
A contrastare un patrimonio così ricco di cultura e di costume, si contrappone tuttavia una deplorevole condizione di abbandono e di interdizione alla visita che riguarda quasi tutti gli edifici sacri; un fattore deprimente che non solo inibisce il concetto spirituale del luogo di culto ma ci priva in egual modo della fruizione di beni che da sempre, anche se indirettamente, appartengono al popolo.
La chiesa di Santa Maria a Collebarucci si colloca purtroppo e in maniera significativa, in questo contesto biasimevole, nonostante il valore religioso e le qualità artistiche che ancora la definivano “graziosissima” all’inizio del Novecento, la rendano almeno meritevole di una breve traccia storica che la ricordi.
La chiesa si colloca a breve distanza dalla magnifica Villa delle Maschere, adagiata su di un piccolo promontorio che si affaccia con vedute deliziose sul Lago di Bilancino. Tutto il complesso parrocchiale appare al momento inaccessibile ed in avanzato grado di deperimento, destinato al crollo imminente e all’epilogo di una storia che si perde nella notte dei tempi.
Non si conoscono con esattezza le origini della chiesa ma lo studio di alcuni documenti rende ipotizzabile l’esistenza di un primo edificio verso la fine del XII secolo o agli inizi di quello successivo. Ne abbiamo conferma dai Decimari dell’epoca, ed in particolare da quello del 1229 nel quale la chiesa risultava pesantemente tassata.
Inserita nel piviere di San Giovanni in Petrojo, nel 1260 contribuisce con sei staia di grano a sostenere l’esercito fiorentino nell’epica battaglia combattuta contro i senesi a Montaperti. La ritroviamo poi regolarmente registrata nelle Rationes Decimarum del 1276 -77 ed in quelle del 1302 – 1303. Nel 1336, al tempo di Ser Bernardi rettore, deve essersi compiuto un primo intervento di ristrutturazione dell’edificio, ampliando l’aula secondo le crescenti esigenze del popolo, restaurando l’intero complesso fino a renderlo più decoroso e adatto al culto.
Anticamente il patronato appartenne ai Barucci, conferito loro dai Cattani, signori maggiorenti di Barberino, ai quali sarebbe tornato con l’estinguersi degli stessi Barucci, per divenire poi dei Vespucci che ancora ne conservavano il titolo nella seconda metà del Seicento.
Nel 1565 gli fu unita “ad immemorabili,” la cura di San Jacopo a Villanova, la chiesetta presente un tempo a poca distanza dalla Villa delle Maschere.
Nella sua lunga storia, Santa Maria a Collebarucci ebbe la guida di molti sacerdoti che si adoperarono per accrescere la fede e lo spirito di un popolo mite, spesso agricoltori e braccianti profondamente uniti da una grande devozione per la Madonna. Fra questi sono senza dubbio da ricordare, Don Filippo Giorgi, agronomo del Seicento al quale si deve la crescita del beneficio grazie ai proventi procurati con l’adozione di nuovi poderi, ma anche Don Antonio Pollastri fiorentino e Don Giuseppe Pananti rontese, che resse la parrocchia per sedici anni, fino al 1861. Don Angelo Stefanacci, morto nel 1897, fu probabilmente uno degli artefici del radicale restauro di chiesa e canonica avvenuto nelle ultime decadi dell’Ottocento.
Quell’intervento avrebbe dato all’intera struttura un volto completamente nuovo, poco diverso da come lo vediamo oggi. Un complesso, che nonostante l’incuria e l’indifferenza in cui si trova relegato, mostra ancora tutta la sua eleganza, secondo una fisionomia unica dovuta ad un’accorta disposizione dei volumi, che ne esaltano l’estetica e valorizzano un’architettura sobria ma di gradevole impatto visivo.
La canonica appare oltremodo ampia, caratterizzata da un numero considerevole di ambienti comodi e funzionali, sovrastata dalla torre campanaria quadrata posta sul lato destro della chiesa, munita di antiche campane, una delle quali sembra provenire dalla torre dell’antico castello di Villanova.
La facciata è preceduta da un ampio loggiato sorretto da pilastri quadrangolari con piccoli capitelli di pietra. Sotto il loggiato un notevole numero di lapidi apposte in epoche diverse, richiama ai simboli di un’intensa attività parrocchiale e al ricordo dell’opera dei sacerdoti, dei popolani caduti nei due conflitti mondiali, del Giubileo del 900, dell’opera Missionaria condotta nel 1924.
Sulla parete di destra, realizzata in pietra e molto deteriorata, campeggia una piccola scultura del simbolo eucaristico.
Sopra il loggiato, al centro della facciata, è una splendida croce in maiolica delle Fornaci Chini di Borgo San Lorenzo,
impreziosita dalle allegorie dei quattro evangelisti, con il simbolo del toro attribuito a Luca, l’angelo simbolo di Matteo, l’aquila di San Giovanni e il leone di San Marco.
Più in basso due finestre a lunetta danno luce rispettivamente all’oratorio della Compagnia e all’aula della chiesa. La lunetta che illumina la chiesa è arricchita da una vetrata policroma della Vergine e dai nomi di alcuni caduti della seconda Guerra Mondiale.
L’interno della chiesa si mostra ormai in condizioni drammatiche, completamente spoglio di arredi e suppellettili, letteralmente cosparso dal guano di topi, pipistrelli e uccelli. Il soffitto a volta risulta parzialmente crollato nella zona di preghiera, caratterizzato da un grande arco a tutto sesto che divide l’aula in due parti e decorato da eleganti cornici dipinte a motivi floreali.
Tutte le pareti sono decorate da una balza cinerina, arricchita da pannelli rettangolari dello stesso colore ma delimitati da cornici bianche. Ben poco resta di un’altra cornice a motivi floreali dipinta in alto, all’imposta della volta.
Nella parte mediana dell’aula si collocano i due altari laterali, ormai spogli delle statue e degli arredi che vi si custodivano in passato. Entrambi hanno foggia speculare, con mensa di pietra, delimitati da colonnette cilindriche con capitelli corinzi che sorreggono la piccola volta a tutto sesto.
L’altare in Cornu Evangeli, dedicato alla Madonna, presenta un tempietto con particolari dorati e la base di appoggio per una statua. Lo sfondo è affrescato con una veduta del paesaggio circostante. L’ altare in Cornu Epistolae mostra invece un fondale azzurro con il simbolo ogivato del Trigramma del nome di Gesù, davanti al quale era posta la statua del Sacro Cuore. Entrambi le sedi recano nella parte alta unghiature che si integrano alla volta di copertura.
Il presbiterio è rialzato di un gradino e delimitato da un altro grande arco decorato che lo separa dall’aula. La volta del presbiterio è a crociera con decorazioni sulle costole o nervature.
Ogni vela recava una frase delle Litanie Lauretane dedicate alla Madonna, delle quali ora appare leggibile solo quella di Rosa Mystica.
Non resta traccia dell’Altar Maggiore, che immaginiamo ricco di elementi decorativi prossimi al resto dell’arredo dell’aula. Sulla parete di fondo, sopra il piccolo ciborio a parete, compare una grande cornice con lesene scanalate che sostengono il timpano interrotto dal simbolo eucaristico.
Al su interno si colloca una pregevole pala d’altare databile al XVII secolo raffigurante la Vergine in gloria fra i Santi Stefano e Apollonia. L’opera appare in pessimo stato di conservazione, completamente coperta dal guano degli uccelli e probabilmente irrecuperabile (l’immagine qui riproposta è stata restaurata con sistema digitale).
Sul lato sinistro del presbiterio si apre l’accesso alla Compagnia, un ambiente che mostra dimensioni dell’aula simili a quelle della chiesa.
Qui è ancora presente l’altare di materiale, con mensa sorretta da robuste mensole a voluta. Un tempo il luogo era celebre per la sua pala d’altare, una pregevole tela raffigurante la Madonna col Bambino fra San Giacomo e Santa Brigida dipinta da Giovan Battista Naldini nel 1583.
foto e testo di Massimo Certini
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 19 febbraio 2023
Che peccato! Un luogo del genere se ben tenuto sarebbe una bella testimonianza della storia dell’arte e devozione popolare. Non molti anni fa la canonica veniva ancora utilizzata per ospitare campi scuola parrocchiali. Cosa ha portato a questo degrado? Non si può più fare niente?