Gli scritti del Magnifico in mugellano
MUGELLO –
I’ sono stato a Empoli al mercato,
a Prato, a Monticelli, a San Casciano,
a Colle, a Poggibonzi, e San Donato,
a Grieve e quinamonte a Decomano;
Fegghine e Castelfranco ho ricercato,
San Piero, e ‘l Borgo e Mangone e Gagliano:
più bel mercato ch’entro ‘l mondo sia
è Barberin dov’è la Nencia mia.
(Io sono stato al mercato di Empoli, a Prato, a Monticelli, a S. Casciano, a Colle Val d’Elsa, a Poggibonsi, a S. Donato, a Greve e quassù in montagna a Dicomano; ho cercato a Figline e Castelfranco, S. Pietro, Borgo S. Lorenzo, Mangona e Galliano: ma il più bel mercato che ci sia al mondo è Barberino, dove si trova la mia Nencia).
Questa è una delle prime stanze del poemetto in ottave “Nencia da Barberino”, scritto da Lorenzo il Magnifico, probabilmente tra il 1469 e il 1473. la scelta linguistica del Magnifico per i suoi versi si colloca pienamente all’interno delle dispute sulla questione linguistica di quel periodo, che vedeva da una parte gli umanisti, che sostenevano la superiorità del latino e auspicavano al suo ritorno come lingua della cultura e dell’arte (dopo che era stato in qualche modo “spodestato”, nel Trecento, con l’opera in volgare dei tre grandi autori Dante, Petrarca e Boccaccio) e dall’altra quella di figure come Luigi Pulci, Landino e lo stesso Magnifico, che invece promuovevano l’uso della lingua volgare.
E così Lorenzo de’ Medici decise di scrivere proprio in mugellano il suo poemetto dedicato a “Nencia da Barberino”, una popolana che abitava a Barberino di Mugello nel quindicesimo secolo. Una scelta linguistica volta ad esaltare la vivacità del linguaggio popolare e la sua capacità ad adattarsi ad ogni contesto, capace cioè di trattare di cose “alte” e sublimi sia di cose “basse”, comiche e realistiche. Anche la scelta della metrica non è casuale: l’ottava (strofa di otto versi con undici sillabe ciascuno) veniva usata per i grandi poemi cavallereschi; il Magnifico la adotta invece per abbassare al registro comico e realistico la lode per la donna che viene paragonata, anziché ad una figura angelica alla maniera degli stilnovisti, a elementi della vita agricola e di campagna, caratteristici della vita degli abitanti del Mugello nel 400:
“Ben se ne potrà chiamare avventurato,
chi fie marito de sì bella moglie;
ben se potrà tenere in buon dì nato,
chi arà quel fioraliso sanza foglie;
ben se potrà tener santo e bïato,
e fien guarite tutte le sue doglie,
aver quel viso e vederselo in braccio,
morbido e bianco, che pare un sugnaccio.”
(Si potrà chiamare fortunato colui che sposerà una donna così bella; si potrà definire nato in un buon giorno, chi avrà quel fiordaliso senza foglie; si potrà dire santo e beato e saranno guariti tutti i suoi dolori colui che avrà quel viso e se lo vedrà tra le braccia, morbido e bianco che pare grasso di maiale.)
In risposta al poema sulla bella Nencia da Barberino, Luigi Pulci scrive “Beca da Dicomano”, dove rivolge altrettante lodi ad una donna che, ahimè:
è soda e tarchiatella
che gli riluce, Idio la salvi, il pelo;
(è soda e tarchiata, e, che Dio la salvi, in controluce le si vede il pelo).
Un antico modo di gareggiare scherzosamente attraverso la lingua e le sue potenzialità, gettando le basi dell’italiano che parliamo oggi e che sappiamo, un po’ gelosamente, corrispondere al fiorentino e, perché no, con qualche piccolo contributo anche del nostro mugellano.
Viola Arinci
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 14 aprile 2020