La civetta porta disgrazia: a chi?
MUGELLO – In una tarda serata di fine giugno, nei primi anni ’70, ero in Piazza Dante, a Borgo San Lorenzo, dove avevo incontrato i miei studenti che in quel periodo sostenevano l’esame di maturità. A quell’ora c’era poca gente in giro e i rumori notturni erano molto più chiaramente percepibili di oggi. Rimasi stupefatto sentendo il canto delle civette proveniente quasi da ogni tetto: un verso continuo, sgraziato, intenso e per me del tutto inconsueto, tant’è vero che l’ho ancora impresso nella mente. Ne parlai in giro e qualcuno mi consigliò di andare alla Fattoria di Senni, perché lì aveva nidificato una civetta (Athene noctua), che dopo aver allevato numerosi civettini aveva lasciato il nido abbandonato. Appena libero mi recai sul posto e affacciandomi da una finestra che dava su un tetto vidi una piccola massa scura, formata da rametti e materiali di ogni genere, tra cui si notavano piccole ossa e pezzi d’ insetto. Raccolsi tutto in una borsa di plastica e lo misi da parte in attesa di esaminarlo a suo tempo.
Poco dopo a Castagno, dove ero andato per le vacanze, ebbi un’emorragia alla retina dell’occhio sinistro che mi costrinse a restare in casa alla penombra per un intero mese, in attesa che la ferita si cicatrizzasse. Così, per vincere la noia, cominciai a selezionare il materiale di quel nido e mi accorsi che dentro c’era davvero di tutto: tante borre, quasi tutte ormai disfatte o apribili con facilità. Quanto lavoro avevano fatto i genitori per allevare i piccoli civettini!
C’erano resti evidenti di topi, toporagni, piccole serpi, rane, ma, soprattutto, resti d’insetti in grandissima quantità. Cercai di identificare minuziosamente tutto ciò che trovavo e contai ben 319 teste o parti riconoscibili d’insetto, tra cui una cavalletta, 4 vespe, 10 calabroni, oltre a un centinaio di teste e resti di coleotteri. Di questi vi erano esemplari molto grossi riconoscibili per le lunghe antenne, come quelle del cosiddetto “diavolo”, un grosso cerambicide (Cerambix cerdo) che vive sulle querce ove depone le uova. Le sue larve sopravvivono per anni sotto la corteccia della pianta mangiandone il tessuto vascolare e arrivando anche a seccarla del tutto. Così è morta la secolare quercia di Senni, che aveva un tronco di quasi 8 metri, di cui rimane traccia in un monumento del parco adiacente al cimitero di Scarperia.
C’erano anche 8 grosse teste di cervo volante (Lucanus cervus), ben riconoscibili dalle enormi mandibole, poi resti di cetonie, coccinelle, dorifora delle patate (solo una, perché chiaramente risultata di sapore disgustoso, come tutti i crisomelidi) e tredici pezzi di un coleottero nero che chiamerò scarafaggio, non essendovi un nome volgare (Blaps mucronata).
Tra i residui più vistosi figuravano una trentina di rane, delle quali la civetta e i civettini avevano divorato la parte anteriore lasciando intatta quella posteriore, che si presentava con la sagoma della spina dorsale e del bacino a cui erano attaccate le lunghe zampe. Le ossa, troppo grandi per essere inghiottite, erano state tutte ripulite con il becco, più affilato di un bisturi. C’erano inoltre 7 piccoli rettili (lucertole e serpoline) e 18 uccellini. Ma le borre, come sappiamo, sono fatte di pelo e ossa. E infatti le piccole civette prendevano anche i piccoli mammiferi pelosi: ben 19 crani di toporagni a denti rossi, 32 a denti bianchi, 117 crani di topo (non avevo allor imparato a distinguere gli arvicolidi dai muridi) e persino 3 crani di talpa (Talpa cf. romana).
Avevo quindi un quadro preciso dello spettro alimentare di questo uccello sacro ad Atena, la dea della sapienza dei Greci: praticamente riusciva a nutrirsi di tutto ciò che c’era nel suo ambiente. Le piccole dimensioni le consentivano di predare insetti molto piccoli, come la coccinella, ma riusciva anche ad uccidere una talpa, quando nell’oscurità usciva dal terreno e diventava vulnerabile. Anche se gli insetti costituivano il 60% delle catture, non era con quelli che poteva sperare di crescere i suoi piccoli: infatti, un “diavolo”, per quanto grosso e spaventoso, pesa poco più di tre grammi, più o meno come un cervo volante, e un calabrone non arriva a mezzo grammo. Le prede più redditizie erano i mammiferi, che, a occhio, possiamo valutare 10 grammi per ogni toporagno e 20 per ogni topo.
Praticamente, si poteva pensare che le nostre civette si fossero sbafate mezzo chilo di toporagni, due chili e mezzo di topi, mezzo chilo di rane e un altro mezzo chilo tra talpe, uccellini e rettili. Con gli insetti si poteva arrivare al mezzo chilo, giungendo così a valutare in 5 chili il cibo trovato per allevare i piccoli. La stima è senz’altro fatta per difetto, dato che molto materiale si è sicuramente perso nell’operazione di raccolta sul tetto e durante la selezione successiva.
Fui soddisfatto di aver avuto l’occasione di fare un vero e proprio studio di autoecologia della civetta ponendomi alla fine una domanda che rivolgo anche a voi: dicono che la civetta porta sfortuna, ma a chi?
Paolo Bassani
©️ Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – maggio 2021