“La nostra arte così a rischio…”, un intervento di Antonio Paolucci sul Crocifisso di Camaggiore
FIRENZUOLA – Nel 2000 l’allora Soprintendente per i Beni Artistici e Storici di Firenze, Pistoia e Prato, Antonio Paolucci, scrisse, per l’introduzione a un volume dedicato al “Crocifisso di Camaggiore ritrovato” una riflessione sulle crescenti minacce al patrimonio artistico, in special modo nelle chiese. All’indomani della sua scomparsa, riproponiamo questo suo scritto.
Guardo il Cristo di Camaggiore (…), guardo la venerabile immagine vecchia di otto secoli, e penso che la sua pensosa mestizia (sua del Cristo, intendo dire) è ben giustificata.
L’Alpe che fu dei Guidi e degli Ubaldini, la meravigliosa “spina verde” d’Italia, è diventata terra di rapina percorsa da bande di ladri e di malfattori. E’ di ieri la notizia del saccheggio della badia a Vigesimo, qualche anno fa è stata spogliata e devastata la pieve di Barbiana cara alle memorie di don Lorenzo Milani, la stessa pieve di Camaggiore ha subito, nel 1991, un furto memorabile.
Sono passati quasi dieci anni e dubito che mai più ritroveremo la copia della “Madonna del Baldacchino” di Raffaello (quale sapienza e quale civiltà nell’antica Italia rurale! l’immagine di un capolavoro assoluto della pittura di tutti i tempi messa al servizio di una comunità di tagliapietra e di boscaioli) e la “Decollazione del Battista” di Santi di Tito, datata al 1597.
Se mai troveremo quei due dipinti è probabile che li ritroveremo a pezzi, trasformati in quadri da salotto. Perché usa così, oggi, nel mercato clandestino delle opere d’arte. Bande di disperati rubano quello che è possibile portar via da chiese periferiche poco o nulla custodite. Poi, raccoglitori senza scrupoli si occuperanno di tagliare a pezzi le pale d’altare che sono troppo grandi, troppo conosciute e troppo “di chiesa” per trovare un compratore. Si può sempre isolare una testa di Madonna, un visino d’angelo o un santo vecchione da gabellare, con opportuni camuffamenti, per ritratto “di carattere”. Tutto il resto, tutto quello che non può essere riciclato, si butta via. Oggi, ai suoi livelli infimi, il mercato d’arte antica è fatto di operatori e di clienti di questo tipo. La rottamazione e il riciclo di tipo cannibalistico del patrimonio sono diventati un’industria; assai poco occulta, di fatto impunita e straordinariamente fiorente.
Per tutte queste ragioni il Cristo di Camaggiore ancorché trionfante, ha ben motivo di essere mesto. Nei suoi ottocento anni di vita ne ha viste di tutti i colori. Ha conosciuto briganti e fuoriusciti, ha visto passare i mercenari del Valentino e i lanzi del connestabile di Borbone, le milizie di Napoleone e i paracadutisti di Kesserling, ma tempi calamitosi come i nostri -sono sicuro- non li ha sperimentati mai.
Nella seconda metà del secolo XX il Cristo di Camaggiore ha assistito allo spopolamento della montagna, al dissolversi dell’antica struttura parrocchiale che aveva resistito impavida per secoli, alla trasformazione delle antiche dimore rurali in seconde case per i contadini della domenica, al deperimento e all’abbandono delle colture.
Il Cristo di Camaggiore queste cose le ha viste consumarsi, inverno dopo inverno, nell’ultimo mezzo secolo. Ha finito col rassegnarsi all’inevitabile trasferimento. Il suo posto sarà nella parrocchiale di Firenzuola, in un paese ancora abitato e dentro una chiesa ancora viva, potrà continuare a fare il suo “mestiere” di Cristo; un Cristo infinitamente paziente e malinconicamente trionfante sui dissennati disastri, sulle stolte ambizioni di questo mondo.
Antonio Paolucci
© il filo, Idee e notizie dal Mugello, luglio 2000
ripubblicato il 6 febbraio 2024