Pieve di San Cresci a Macioli
Collocata ai margini della diocesi fiesolana, in quella che attualmente si identifica come l’Isola di Fiesole, la pieve di San Cresci a Macioli risiede all’apice del colle di Pratolino, un tempo meglio conosciuto come Poggio dell’Uccellatoio.
Anche se prossima alla strada statale Bolognese, la chiesa occupa uno spazio appartato, seminascosto dalla vegetazione, tuttavia facilmente accessibile deviando a sinistra appena iniziata la comunale per Bivigliano.
Le memorie più antiche di questa chiesa sembrano affidate ad un documento del 926, quando ancora era identificata come San Cresci in Albino, ed ad una carta di poco successiva, rogata nel 946 per un atto di donazione. Non rifiutabile l’ipotesi suggestiva di un luogo di culto precedente, collocato a breve distanza dall’attuale ma con planimetria diversa, forse a croce greca, edificato attorno al VI secolo dai monaci basiliani.
In documenti del 1050 e 1066, la pieve appare inglobata nella Corte di Capo Carza, in prossimità dell’omonimo castello. Cinque chiese suffraganee le figuravano annesse all’inizio del XIII secolo.
Nella prima metà del Quattrocento, l’economia di Macioli mostrava caratteri di drammaticità, con un beneficio parrocchiale che non superava gli undici ducati all’anno. L’edificio di culto, versava in condizioni precarie, bisognoso di un radicale restauro, anche se una particolare inibizione degli organi superiori vi proibiva ogni forma d’intervento, spettante esclusivamente alla famiglia dei Neroni, signori fiorentini al tempo patroni della pieve. Finalmente nel 1426, il Pontefice Martino V, ne assegnava il possesso ad Arlotto Mainardi, il pievano divenuto celebre nella tradizione popolare e macchiettistica per le sue burle e facezie, animate da un carattere semplice e arguto. Pur vivendo un’esistenza affabile e giocosa, riuscì abilmente a ricostruire un equo beneficio parrocchiale, apportando all’edificio di culto un radicale restauro che ne avrebbe garantito la futura integrità strutturale secondo l’aspetto architettonico ancor’ oggi visibile.
Per volere e con il contributo dei Neroni Diotisalvi, la pieve fu completamente ristrutturata tra il 1448 e il 1466 secondo l’opera di Giuliano da Maiano e Bernardo Rossellini. Altri interventi di mantenimento si sarebbero compiuti nel Seicento riuscendo a conservare purezza delle linee ed eleganza della struttura fino ai nostri giorni.
La pieve si presenta oggi con un paramento esterno in filaretto a vista, coperta a quattro spioventi e sormontata da un possente campanile a torre quadrangolare, realizzato nel 1279 al tempo del pievano Ambrogio. La facciata conserva alcuni elementi architettonici di pregio apportati da Giuliano da Maiano nella ristrutturazione quattrocentesca, con il portale di pietra impreziosito da modanature e tre finestre ad arco e inferriata che illuminano le rispettive navate.
Nel timpano campeggia lo stemma dei Neroni, raccolto in una cornice circolare a ghirlanda. Di raffinata eleganza il motivo a cornice di mattoni del sottotetto che si ripete lungo l’intero perimetro di copertura. L’interno, di aspetto solenne, è coperto a capriate; diviso in tre navate da due ordini di sette colonne con capitelli compositi. Si conclude nell’abside quadrangolare preceduta da un grande arco sul quale campeggia ancora l’emblema dei Neroni.
Sulla destra, in prossimità dell’ingresso, è il Fonte Battesimale del XV secolo, arricchito da pregevoli decorazioni scolpite e racchiuso da una cancellata in ferro battuto di stile gotico realizzata dall’artista senese Battista de’Franci nel 1443.
Nella parete sinistra del presbiterio è il busto marmoreo in bassorilievo del pievano Ambrogio con l’epigrafe che ricorda il termine di costruzione del campanile. Sempre nel presbiterio è collocato un organo ottocentesco con fronte intagliato e dorato, sorretto da colonne con capitelli dorici, restaurato da Maria Demidoff nel 1921.
Da qualche tempo la pieve si è arricchita di pregevoli opere pittoriche che ne arricchiscono notevolmente l’arredo interno. Sul fondo della navata sinistra, accanto al presbiterio, racchiusa in una cornice intagliata e dorata, è visibile una Madonna del Rosario di scuola fiorentina databile al XVII secolo.
Sopra l’altare della navata destra è invece un olio su tela (sec.XVII) di ignoto pittore fiorentino raffigurante una Madonna col Bambino e santi, fra i quali San Michele, Sant’Antonio e San Francesco.
Più in basso è un Ecce Homo racchiuso in un urna da parete con cornice intagliata. Sulla parete della navata destra, è visibile una riproduzione ottocentesca della Madonna col Bambino proveniente dalla chiesa di San Jacopo a Festigliano.
Oltre al lodevole intervento di ristrutturazione apportato alla pieve di Macioli, resta oggi un gradevole ricordo del pievano Arlotto, legato al suo comportamento giocoso e divertente, continuamente segnato da piacevoli motti e argute facezie, essenziali per comprendere lo spirito toscano e le condizioni di vita che caratterizzavano il Mugello nel Quattrocento. Una raccolta di quelle gesta umoristiche, tramandata dalla tradizione orale, sarebbe stata manoscritta all’inizio del Cinquecento, divenendo per sempre simbolo della letteratura umoristica toscana. Riportiamo di seguito uno di quegli episodi che rispecchiano l’animo mite del curato di Macioli e la sua abilità nel trasformare in burla anche le situazioni meno favorevoli.
“Una volta fu invitato a cena in città. Era d’estate e faceva caldo. La tavola fu apparecchiata sul terrazzo che quasi tutti i palazzi di quei tempi avevano in cima, sotto il tetto. A metà serata mancò il vino. Allora, il padrone di casa, per scherzo, disse al piovano Arlotto: – Andate voi in cantina a riempire i boccali.- Volentieri! – rispose il piovano. E s’alzò a fatica dalla tavola.
Dall’altana alla cantina c’erano più di cento scalini. Il piovano Arlotto tornò grondante di sudore, porse i boccali pieni e si rimise a sedere.
Ad un tratto s’oscurò in viso e si fece serio. Non parlava più e mangiava distrattamente.
Che cosa avete? – gli chiese il padrone di casa. Nulla – rispose il piovano soprappensiero. Mi è venuto un dubbio – disse poi lentamente. – Non mi ricordo più se ho chiuso lo zipolo della botte”.
Scheda e © foto di Massimo Certini
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – agosto 2019