Una combinazione fortuita di eventi. Ovvero quando Paolo Cocchi incontrò Gorbačëv
BARBERINO DI MUGELLO – Una combinazione fortuita di eventi, una di quelle concatenazioni che capitano una volta su un milione, insomma, un colpo di Stato e una coda autostradale, vollero che il 22 settembre 1993 incontrassi Michail e Raissa Gorbačëv. Ero a casa poco dopo pranzo quando ricevetti una telefonata del Maresciallo Rapone: “Sindaco, la questura di Bologna mi ha informato che Michail Gorbačëv è di passaggio da Barberino diretto a Roma. C’era una coda in autostrada e così lo hanno dirottato sulla Statale 65. Mi hanno chiesto di indicargli un ristorante. Ho suggerito ‘Le Maschere’. Magari vuole andare a salutarlo”. “Quel Gorbačëv?” devo avergli chiesto incredulo ma già emozionato. “Sì. Lui. Con la moglie. Si sbrighi e non dica che l’ha saputo da me. È notizia riservata”.
Ringraziai il buon maresciallo, indossai l’abito scuro, saltai in macchina e guidai fino al ristorante. Due auto blu nel parcheggio e un paio di tipi grandi e grossi sulla porta mi confermarono che l’eccezionale comitiva era già arrivata. Sulla porta e prima che potessi aprire bocca, il Ranucci, proprietario del ristorante, si presentò a spiegare chi fossi. Arrivò anche l’interprete e fu questi a condurmi sotto braccio al tavolo dove stavano pranzando Michail e Raissa. Gorbačëv si alzò e mi rivolse un saluto molto cordiale invitandomi a sedere accanto a loro.
Mi chiese se avessi già mangiato e se volessi approfittare della loro ospitalità. Ringraziai, con l’idea di togliere il disturbo prima possibile, non appena presentati i sensi della mia stima e dell’onore che provavo. E qui avvenne l’incredibile. L’ex Presidente dell’Unione Sovietica si mise a conversare con me. Mi chiese chi fossi, le mie posizioni politiche, cosa pensavo della situazione del suo Paese. Sempre più imbarazzato gli risposi. Spiegai che ero stato un militante del Partito Comunista Italiano e che avevo sperato che la perestrojka potesse avere successo.
Gli espressi le mie antipatie per Eltsin e per il programma di privatizzazioni forzate che stavano portando i russi alla fame. Cercavo di essere breve, sempre con l’idea di togliere il disturbo non appena avessi colto il minimo cenno di noia sul suo volto. Ma, ogni volta che mi zittivo, era lui che continuava a domandare o a commentare. Ci versarono da bere e allora mi “rassegnai” a quella singolare situazione. Stemmo lì per più di un’ora, e più volte mi chiesi se non mi stesse istituzionalmente sopravvalutando a causa di un’approssimativa conoscenza della geografia del nostro Paese. Infine mi spiegò che stava rientrando nel suo paese a causa della situazione politica sempre più drammatica e che aveva dovuto rinunciare, con molto dispiacere, sia a ritirare la laurea honoris causa conferitagli dall’Università di Bologna, che a un’udienza privata con il Papa.
Raissa se ne stette tutto il tempo compostamente ad ascoltare fumando. Ogni tanto sorrideva ma non prese mai parte alla discussione. Era una donna di grande finezza ed eleganza. E quando salutai i due ospiti, azzardai un baciamano che lei ricevette senza alzarsi. Gorbačëv invece mi abbracciò robustamente e poco ci mancò che mi mollasse un bacio all’usanza russa. Il Resto del Carlino ha ricordato giorni fa come l’ex capo dell’Unione Sovietica disertò per ben due volte la cerimonia di conferimento della laurea da parte dell’Alma Mater Studiorum, la più antica Università d’Europa. La prima volta, nel 1992, perché le autorità russe non gli concessero il visto per l’espatrio. La seconda, quel 22 settembre 1993, giorno del nostro incontro, a causa di non meglio specificati motivi urgenti. Ebbene i motivi erano davvero urgenti.
In Russia era in corso uno scontro violentissimo tra il Presidente Eltsin e il Parlamento. Le “riforme” suggerite dal FMI stavano affamando la popolazione e svendendo le risorse del paese agli “oligarchi”, e il Parlamento, ancora formato in buona parte dalla vecchia burocrazia politica di formazione sovietica, tentava un impeachment. L’esercito non si era ancora schierato chiaramente. Il 21 settembre Eltsin aveva, con un atto contrario alla Costituzione vigente, sciolto il Parlamento. Per questo Michail Gorbačëv rientrava precipitosamente a Mosca.
Il 3 ottobre ci furono scontri con numerosi morti. Il 4 Eltsin bombardò il Parlamento e pose fine al dissenso interno. Nel dicembre dello stesso anno fece approvare una nuova Costituzione autocratica, la stessa che oggi tiene al potere Putin. “Gorby” è stato il leader russo più amato dall’Occidente e forse il più odiato in patria, dove nessuno, si sa, è profeta. L’anima nazionalista del più esteso paese del mondo non gli ha mai perdonato lo smantellamento del grande “impero” sovietico. Oggi appare più chiaro quanto le nostre speranze fossero, non tanto mal risposte, quanto utopistiche.
Il socialismo reale non era riformabile. Nessun “regime” lo è. Per questo esistono le rivoluzioni. Ma rimane il rimpianto di non aver potuto vedere le sorti del mondo prendere un’altra, e migliore, piega.
Paolo Cocchi
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 4 Settembre 2022