La Badia di Santa Maria a Vigesimo, verosimilmente, prende il nome dalla ventesima pietra miliare di una strada romana che da Firenze, per Fiesole o per Calenzano e il passo delle Croci a Combiate (o forse per entrambi gli itinerari), si dirigeva al Nord.
La chiesa sorge, leggermente sopraelevata, su di un prato delimitato da cipressi, a poca distanza dal centro di Barberino di Mugello.
Malgrado l’aspetto della facciata, dall’ampio loggiato decorato con le statue della Giustizia e della Misericordia (opere dello scultore Francesco Arrighi), e il frontone ricco di lesene e volute, e l’interno in stile barocco, frutto degli interventi succedutisi fra il XVII e il XVIII secolo, della chiesa, fondata dal Vallombrosano San Giovanni Gualberto, si hanno notizie certe sin dal 1074.
Secondo il Repetti fu un priorato dei Vallombrosani soggetto alla Badia di Passignano insieme con l’ospedale di Combiate, o alle Croci. Devono entrambi la loro origine ai Cattani di Combiate, ossia di Barberino, i quali nel 1120 vendettero e rinunciarono al giuspadronato della chiesa di S. Maria in Vigesimo e dello spedale di Combiate a favore dell’abate e dei monaci di Passignano. Il più antico atto di giuspadronato compare in una membrana Passignanese del marzo 1074, quando Guido del fu Manfredo da Barberino e Rodolfo di lui figlio promisero a Leto abate di Passignano “di non recare molestia ai possessi spettanti alla chiesa di S. Maria in Vigesimo, in luogo detto Valle, nel piviere di S. Gavino in Mugello”.
Il complesso nasce dunque come convento e la Chiesa adiacente è di tipico impianto romanico con l’abside rivolta ad est e la facciata ad ovest. Sia la facciata che l’interno della Chiesa hanno subìto molti maneggiamenti prima di giungere fino a noi tanto che di romanico è rimasto quasi esclusivamente l’orientamento. L’ultimo di questi interventi è dell’epoca tardo barocca e più precisamente del periodo compreso fra il 1740 e il 1748.
Il campanile, a vela, in mattoni a vista, sorregge tre campane due delle quali sono datate rispettivamente 1494 e 1522.
L’interno, cui si accede per una porta finemente intagliata, è costituito da una sola navata coperta con belle capriate di legno.

Al centro dell’abside una preziosa tavola raffigurante l’Assunzione di Maria attorniata da angeli e santi, attribuita in passato alla mano iniziale di Domenico Ghirlandaio, e portata a termine di Cosimo Rosselli, e ora considerata opera di un anonimo ma rimarchevole pittore fiorentino del ‘400, e ai lati due affreschi di Giusto Rossi rappresentano la Sacra Famiglia e la Madonna con Gesù Bambino e S. Giovannino.
Sulle pareti laterali quattro altari, sui primi due, a sinistra una Madonna col Bambino e San Giovanni Gualberto e a destra una Natività. Sul secondo altare di sinistra spicca una bella tavola del Quattrocento con una SS. Annunziata fortemente ispirata a quella dell’omonimo santuario fiorentino e su quello di fronte, una statua lignea dell’Addolorata, opera di Federigo Tarlatini.
Sopra i confessionali, in legno di noce finemente intagliati (1741), sono raffigurati vari episodi della Vita della Madonna e più in alto, sei ovali dipinti da Vincenzo Pacini nel 1747, tre per parte, raffigurano altrettanti Santi Vallombrosani.
Di notevole qualità è anche il grande fonte battesimale in terracotta invetriata dei primi del XVI secolo, attribuito a Benedetto Buglioni.
Di grande pregio è anche l’organo, di Michelangelo Paoli, del 1806, riccamente decorato con modanature e intagli, e il parapetto della cantoria, aggettante al centro, intagliato e dorato, in stile rococò (1744).

Sotto l’altar maggiore si conserva e si venera il corpo di S. Vincenzo martire, qui trasferito dalle catacombe di San Ciriaco nel 1676. Sul pavimento, varie botole di pietra denunciano la presenza di fosse comuni, due delle quali riservate rispettivamente a monaci ed abati (come sulle stesse scolpito).
La canonica e l’attiguo convento risalgono alla prima metà del XII sec. e l’intero complesso conserva tuttora l’imponente aspetto di Monastero Vallombrosano, anche se alcuni anni fa canonica e convento sono stati recuperati a fini residenziali.

Sulla facciata, due finestre di identica fattura recano in chiave due diverse date: 1749 e MDCXL (1640). All’interno si riconosce il chiostro (ora murato) con al centro il pozzo coperto da una tettoia.

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© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 24 settembre 2018