Chiesa di San Martino a Vespignano
La chiesa prioria di San Martino a Vespignano, un tempo suffraganea della pieve di Borgo San Lorenzo, è legata alla figura di Giotto che, secondo la tradizione avrebbe avuto i natali nella casa prospiciente (o nelle vicinanze). Se l’identificazione della terra natale del grande pittore è periodicamente messa in discussione, certo è che il figlio Francesco fu priore proprio della chiesa di San Martino (1329) che è ricordata fin dal 1218.
La chiesa si trova sulla sommità del colle di Vespignano, accanto ai resti dell’omonimo castello medievale e vicina alla presunta casa natale del grande pittore mugellano, e presenta una semplice facciata a capanna con unico portale di ingresso sormontato da un piccolo oculo. Il robusto e tozzo campanile appartiene con tutta probabilità ai lavori successivi al terremoto del 1919.
L’interno, ad aula, è dotato di una scarsella a pianta rettangolare e volta a crociera costolonata, poggiante su peducci angolari, decorati con delle testine virili, evidente resto della costruzione del XIII secolo. L’altare maggiore è stato realizzato su disegno di Dino Chini nel 1929 e riprende motivi geometrici in bicromia bianco-verde, di gusto neomedievale. Sulla parete destra dello stesso piccolo ambiente, si vedono tracce di antiche decorazioni dipinte, forse del XV secolo. Sul lato opposto, accanto alla già ricordata nicchia con cornice datata 1277, è collocato un interessante tabernacolo eucaristico in pietra scolpita, riferibile alla metà del Quattrocento. L’arredo, in seguito alla riforma liturgica del Concilio di Trento, adattato alla conservazione degli oli santi, costituisce una rilevante traduzione in un linguaggio rurale ma non privo di raffinata eleganza, dei grandi modelli quattrocenteschi di Desiderio da Settignano o Mino da Fiesole.
Oltre ad alcuni dipinti di recente fattura è da segnalare la presenza di un organo della seconda metà del XVIII secolo. Sopra la grande pietra del fonte battesimale si trova una espressiva statua di san Giovanni Battista, opera in bronzo di Antonio Berti, risalente al 1954.
Sulla parete destra della navata si apre una piccola monofora, anch’essa evidentemente, resto della costruzione medievale, mentre sopra l’altare alla destra del presbiterio si trova, forse non nella collocazione originaria, un affresco raffigurante la Madonna dell’umiltà.
L’opera è riferita alla mano di Paolo Schiavo, non modesto pittore della metà del XV secolo, che, attivo soprattutto nella campagna fiorentina. L’artista, il cui vero nome è Paolo di Stefano Badaloni (Firenze, 1397-Pisa, 1478), fu allievo di Masolino da Panicale e seppe coniugare con rilevante efficacia le eleganze tardogotiche col robusto e severo senso della realtà di ascendenza masaccesca, caratteristiche leggibili anche in questa opera.