Dino Campana
Dino Campana nasce a Marradi, il 20 agosto 1885: qui frequenta le scuole elementari, mentre continua gli studi a Faenza e Carmagnola e si iscrive alla facoltà di Chimica pura a Bologna e, poi, farmaceutica a Firenze, senza conseguire la laurea. Sin dall’adolescenza emergono i sintomi della patologia mentale che lo affliggerà per tutta la vita. Il suo malessere e la sua instabilità si manifestano in un costante desiderio di fuga e la piccola Marradi viene sentita allo stesso tempo come un luogo ostile e un polo di costante attrazione, in un vagabondare perenne durante il quale sono frequenti gli internamenti: è ricoverato per la prima volta a Imola (1905-1907), poi al San Salvi di Firenze (1909) dopo un viaggio in Argentina caldeggiato dal padre e, infine, a Tournay (1910) mentre è diretto verso il Belgio. Agli anni più burrascosi segue un periodo tranquillo (1912-13), tra viaggi e frequenti ritorni a Marradi.
Dino sente che la poesia può rappresentare l’altro volto della propria inquietudine e organizza i primi nuclei dei Canti tra le montagne della valle del Lamone: nel 1913, Campana è a Firenze e si presenta alla redazione della rivista Lacerba, diretta da Papini e Soffici, cui consegna per un giudizio il manoscritto delle sue opere, intitolato Il più lungo giorno. Il manoscritto viene perso (e ritrovato tra le carte di Soffici dopo la sua morte solo nel 1971) e la vicenda causa un dissidio molto violento tra Campana e l’ambiente intellettuale fiorentino, del tutto disinteressato al suo caso.
Egli, in preda alla più profonda disperazione, decide, nell’inverno del 1914, di riscrivere il proprio lavoro affidandosi alla memoria e agli abbozzi: alla fine dello stesso anno, la Stamperia Ravagli di Marradi stampa a spese dell’autore i Canti Orfici, venduti poi dallo stesso tra i tavoli dei caffè fiorentini. Nel 1915, allo scoppiare della guerra, Dino viene esonerato dal servizio militare per instabilità mentale.
Nel 1916, Sibilla Aleramo scrive a Campana parole di vibrante ammirazione per i Canti orfici: egli è in cura a Firenzuola presso una stazione climatica, mentre la scrittrice è ospite presso Villa la Topaia a Borgo San Lorenzo; nasce una storia d’amore passionale e tormentata, che si conclude a Natale dello stesso anno. Il delirio di Campana si fa in seguito più sempre più acuto, sino al definitivo internamento nel 1918 presso Villa Castel Pulci a Scandicci, dove muore il 1° marzo 1932.
La critica coeva accoglie i Canti orfici con giudizi opposti e solo successivamente sarà in grado di rilevare il valore della raccolta; è, tuttavia, sin da subito generalmente concorde nell’affermare il carattere eccezionale dell’opera e dell’autore, legati al panorama letterario italiano della tradizione di Carducci e D’Annunzio, ma pure a quello europeo e parigino di fine Ottocento con Baudelaire e Rimbaud e dell’avanguardia di Apollinaire. Quella dei Canti orfici è una scrittura dell’attimo, che risente di influssi pittorici cubisti e impressionisti allo stesso tempo: le immagini sono fortemente cromatiche, rappresentate in forme multiple ed evanescenti che si tramutano repentinamente in valori psicologici ed espressivi.
Gli spazi sono quelli dei paesaggi mugellani (con Marradi al centro di due distinti percorsi: quello dei pellegrinaggi solitari da Fiorenzuola, Campigno, Castagneto, San Godenzo sino Stia e quello del viaggio con Sibilla Aleramo da Palazzuolo sul Senio al Passo del Giogo), descritti in una serenità turbata ed alternati a visioni oniriche o reali (Genova e la pampa argentina).
La tematica del viaggio percorre tutta la raccolta a partire dalla lunga prosa memoriale La notte sino all’immagine finale e sospesa del porto di Genova: un viaggio che è orficamente possibilità di rigenerazione, verità e spiritualità profonda, capace di superare le circostanze storico-temporali e biografiche.
L’opera di Campana può essere letta, allora, come un percorso di conoscenza visionaria e primordiale del mondo, vagabondante tra poesia e prosa, dove la parola si dissolve in ritmiche fascinanti, allucinate dall’iterazione e da un dettato diviso tra crepuscolarismo ed espressionismo.
Stella Fecchio
In collaborazione col Dipartimento di Ateneo
per la Didattica e la Ricerca dell’Università per Stranieri di Siena
Bibliografia delle opere ed epistolari
Canti Orfici e altre poesie, a cura di R. Martinoni, Einaudi, Torino, 2003.
Epistolari
Le mie lettere sono fatte per essere bruciate, G. S. All’insegna del pesce d’oro, Milano, 1978.
Un viaggio chiamato amore, a cura di B. Conti, Feltrinelli, Milano, 2003.
Un po’ del mio sangue, a cura di S. Vassalli, BUR, Milano, 2005.
Lettere di un povero diavolo, Carteggio (1903-1931), a cura di G. Cacho Millet, Polistampa, Firenze, 2011.
Bibliografia della critica
- Ciccuto, Campana moderno «Italianistica», Anno 2005, n°1, pp. 158-159.
- Gerola, Dino Campana, Sansoni, Firenze, 1955.
- Reitano, Poesia e orfismo in Dino Campana «Sincronie», Anno 2003, n°14, pp. 129-143.
- F. Seaman, Scrittura e memoria nella vita e nella poesia di Dino Campana, «Forum Italicum», Anno 2008, n°2, pp. 263-283.
- Turchetta, Dino Campana – Biografia di un poeta, Feltrinelli, Milano, 2003.
- Vassalli, La notte della cometa, Einaudi, Torino, 1984.
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