Emiliano Cribari, il vagabondo dell’Appennino
BORGO SAN LORENZO – Scrittore, poeta, fotografo e guida ambientale; Emiliano Cribari ha unito “l’utile al dilettevole”, ovvero la sua passione per i boschi, le passeggiate lente sotto un tetto di foglie e la scrittura. Ha potuto così raccontare grandi poeti e scrittori ma anche paesi e luoghi che si stanno spopolando ma che narrano molte più storie di quelle contenute nei libri: comunità, amicizie, rivalità e piccoli atti di ordinario (e straordinario) coraggio.
“Sono convinto – racconta Emiliano – che anche se viviamo in un’epoca che sembra dare importanza solo a ciò che genera un reddito economico, in realtà la cura, la gentilezza e l’ascolto possono offrire ciò che veramente serve all’umanità”. Cribari è un vagabondo dell’Appennino; e proprio nel suo vagabondare ha scoperto il piccolo paese di Casaglia, nel Comune di Borgo San Lorenzo.
“È stato un onore essere accolto a Casaglia, non come turista ma come qualcuno che vuole imparare, conoscere, vivere lentamente le suggestioni e le tradizioni del luogo. Si tratta di una realtà straordinaria, abitata da trenta persone, con un circolo che viene portato avanti dai volontari del paese. Sto seguendo i movimenti di questa comunità realizzando un reportage sia fotografico che letterario al termine del quale mi piacerebbe realizzare una mostra e, spero, un libro”.
L’amore per il Mugello, però, non è nato per caso. Infatti, parte della famiglia di Cribari è mugellana. Sua mamma, infatti, è di Panicaglia e le sue origini sono molto radicate in questo territorio. “Negli ultimi anni – spiega – ho avuto a che fare con il Mugello anche grazie al poeta Dino Campana, di cui ho seguito per anni le tracce. E anzi è proprio mentre seguivo le orme del poeta marradese che mi sono imbattuto nel borgo di Casaglia”.
Per quale motivo sei così affascinato dai borghi?
Almeno fino al dopoguerra, i piccoli paesi sono stati l’anima dell’Italia, e in particolare dell’Appennino. Presto non potremo più vivere ammassati in città sempre più anonime. I paesi torneranno necessari. Prendersi cura dei piccoli luoghi è prendersi cura anche di sé. Farlo significa dare un senso diverso, più umano, alla nostra esistenza ma anche contribuire alla prevenzione dei disastri ambientali che sempre più spesso, ormai, si affacciano tragicamente nelle nostre vite.
Ma non sarebbe meglio se la natura si riprendesse il proprio posto?
No. Uomo e natura hanno sempre dialogato. L’uomo, attraverso il proprio lavoro, ha sempre disegnato (anche sapientemente) il paesaggio. Il problema è sorto quando questo dialogo è diventato un monologo, perlopiù gridato, cioè quando l’intervento dell’uomo sulla natura ha smesso di essere coscienzioso.
E non hai paura che dopo il tuo lavoro Casaglia diventi… un posto iper-popolato?
C’è turismo e turismo. C’è quello che invade, consuma e se ne va; e c’è quello che arriva con rispetto, lentamente, a piedi… Il turismo che non depreda ma osserva, che ascolta. Io penso che se questi luoghi vengono narrati in maniera corretta, poetica, non commerciale, con meno hashtag e Spritz e più contenuti, più poesia, le persone che vi si avvicinano lo fanno in maniera più attenta ed educata.
Come te… Spero!
Io sono innamorato del luogo ma anche e soprattutto delle persone. E vorrei che il mio lavoro fosse anche uno scudo per questo borgo. Per me è essenziale che non si banalizzino i luoghi, che tutto non si risolva in due foto da postare su Instagram in segno di folclore. Negli ultimi anni, di retorica sui borghi ce n’è stata e ce n’è moltissima. I paesi sono creature complesse, non villaggi turistici. La retorica del borgo è proprio questa, in fondo: pensare i paesi al di fuori del tempo e dello spazio, mentre i paesi vanno semplicemente apprezzati per quello che sono, anche per i loro aspetti più duri.
Ma quindi tu vivi lì adesso?
No, ho una casa in affitto e cerco di passarci più tempo possibile. I trenta abitanti di Casaglia sono diventati per me una seconda famiglia: lì vi ho trovato dei nonni e degli amici. Insomma, mi sono sentito accolto da una comunità e non è scontato: voglio dire, avrebbero potuto benissimo fare a meno di me!
Non sono chiusi in loro stessi?
Per avere fiducia devi darla e viceversa. Si tratta di rispetto reciproco. Poi, come tutte le piccole comunità, prima ti annusano e poi, quando capiscono che non sei un barbaro, che insomma arrivi in pace, allora ti accolgono e a quel punto si spalanca un mondo di scoperte e meraviglie a cui purtroppo la maggior parte di noi non è più abituata. Io credo che quella che viene etichettata da fuori come chiusura sia solo una lecita e sacra difesa delle tradizioni, che non devono essere assolutamente svendute. Una certa chiusura è un valore essenziale per una comunità.
Che è quello che hai cercato di fare anche a Pomino?
Sì, spero di sì. Grazie a un podcast dedicato alla chiesa di Santa Maria del Carmine ai Fossi ho vinto un premio indetto dal FAI (Fondo Ambiente Italiano) che porterà sul luogo un certo tipo di investimento, economico ma soprattutto culturale. Se il mio lavoro suscita un sano interesse nei confronti di un luogo io non posso che esserne contento. Anzi, è proprio questo l’unico vero scopo del mio lavoro.
Irene De Vito
Foto di Emiliano Cribari
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – Febbraio 2024