Francesco Buonamici, oriundo di Dicomano
DICOMANO – La bibliografia ufficiale racconta che Francesco Buonamici nacque nel 1533 a Firenze (forse) e morì nel 1603 a Orticaia (forse), comune di Dicomano. Dottore in filosofia, è stato assistente dal 1565 all’Università di Pisa, che allora era detta Studio Pisano, e dal 1571 vi insegnò come professore ordinario per oltre trent’anni, ma si interessò anche alle materie umanistiche sotto la guida di Baccio Valori e Pier Vettori.
Si dedicò tutta la vita all’insegnamento avendo per allievi dei ragazzi che poi avrebbero fatto storia nel mondo culturale italiano e internazionale come Galileo Galilei e Filippo Sassetti. Scrisse molte opere a carattere scientifico fra le quali ricordiamo il “De motu”, in dieci libri, pubblicato nel 1591 e il “De alimento”, in cinque libri, pubblicato nel 1603. Nel 1560 lesse pubblicamente, per la prima volta, all’Accademia Fiorentina, sotto il Consolato di Leonardo Tanci, “con tanto applauso che meritò subito d’esser messo nel numero degli Accademici”. Da quel momento fu chiamato tante volte a tenere lezioni all’Accademia mentre era guidata da noti Consoli quali Piero Rucellai, Giovambattista Strozzi, Giovambattista Doni e Baccio Valori stesso.
Il 30 ottobre del 1569, sotto il Consolato di Tommaso Del Nero l’ormai famoso Francesco Buonamici tenne una dotta lezione sopra il sonetto del Petrarca “Quando il pianeta che distingue l’ore”. Personaggio di grande spessore, basato su una solida e poliedrica formazione, riusciva a stimolare il pensiero e il ragionamento e fu apprezzato anche da chi non era d’accordo con le sue teorie. Dopo la sua morte l’Accademia Fiorentina, sotto il Consolato di Piero Venturi, gli dedicò una giornata commemorativa, il 27 maggio del 1604, in cui il Dottore in filosofia Tommaso Palmerini recitò “l’Orazione funebre in morte del celebre Francesco Buonamici filosofo e lettore ordinario nell’Università di Pisa”.
Dunque il nostro era un illustre personaggio pubblico affermato ed onorato ma della sua vita privata non trapela nulla dalle pubblicazioni su di lui. Per capire chi era Francesco bisogna scoprire chi erano i suoi avi e dove avevano vissuto. Francesco era figlio di Ser Niccolò Buonamici, notaio pubblico fiorentino, figlio di un altro Francesco (nonno del nostro) di Giuliano di Apollonio di Ser Niccolò e di Maria Del Campana figlia di Ser Giovanni di Ser Niccolò di Ser Carlo di Ser Niccolò di Guidotto. Dalle dichiarazioni del 1481 del Catasto del bisnonno Giuliano, che all’epoca aveva 50 anni, risulta che viveva in una casa con vigna nel popolo di Santa Maria a Dicomano e dalla Decima Repubblicana del Quartiere di San Giovanni nel Gonfalone Vaio risulta che il nonno Francesco abitava a Firenze nel popolo di San Simone, ma in una parte di casa posta nella Vigna Vecchia a pigione, mentre era proprietario di una casa con un pezzo di vigna posta nel popolo di S. Maria a Dicomano luogo detto Montalloro, esattamente quella ereditata da Giuliano, ed acquistò dagli eredi di Ser Conte un podere con casa da lavoratore con terre lavorative, ulivate, vignate, boscate, marronate e castagnate nel popolo di S. Iacopo a Orticaia luogo detto In Poggio e più pezzi di terra e prati nel popolo di S. Iacopo a Orticaia luogo detto In Poggio dove si producevano grano, biade, lino, fichi, castagne, marroni, noci, olio, vino e carne.
Trascorreva il tempo e le valutazioni dei beni miglioravano, infatti dalla dichiarazione della Decima Granducale risulta che Ser Niccolò, padre del nostro, risiedeva a Firenze in via Pandolfini per esercitare il suo mestiere di notaio, ma curava con attenzione le sue uniche proprietà: il podere di Orticaia infatti si arricchiva di terreni e immobili, non più solo una casa da lavoratore ma anche di una da signore e tra i beni acquistati erano presenti tanti terreni intorno alla chiesa di S. Iacopo che si estendevano a valle fino al fiume Sieve. Sarà stata forse questa la casa in cui il giovane Niccolò accolse la moglie Maria e qui nacquero tutti i loro figli ? Possiamo allora azzardare che Francesco Buonamici nacque a Orticaia e visse i suoi primi anni in mezzo a quella natura incontaminata, osservando il ciclo della vita negli animali e nelle piante e correndo giù fra le vigne fino al fiume, sperimentando il movimento dei corpi nell’acqua e trovando le basi su cui si sarebbe fondata la sua carriera di filosofo, medico, scienziato. Nella stirpe materna troviamo altre sorprese: dalle dichiarazioni della Decima Granducale del Quartiere di S. Spirito nel Gonfalone Ferza leggiamo che il nonno di Maria, Ser Niccolò del Campana, abitava a San Godenzo pur lavorando come notaio a Firenze.
Andando ancora più indietro a vagliare le dichiarazioni della Decima Repubblicana del Quartiere di S. Spirito nel Gonfalone Ferza troviamo un altro Ser Niccolò del Campana (nonno del nonno di Maria) che per esercitare anch’egli il notariato in città si fermava a casa di madonna Nanna, sua suocera che abitava in via della Scala, ma dichiava di avere per suo “habitare… una casa nel popolo di Santo Ghodenzo” con orto e capanna e, nei dintorni, tantissime proprietà terriere e immobiliari allo Specchio, a Querceto, a Robagnano, al Piano della Cella, al Trebbiale, ai Ginepri, al Piano dei Bastardi, a Linari, a Bruzame, a Stabbia, a Corella (in località Cancelli e Paterno), a Pianacci, a Fogliano, Migliorino, al Campo di Martino, a Camporenzoli, al Piano di Magliavacca. Inoltre pagava alla Badia Di S. Godenzo 4 staia di grano l’anno di censo. Aveva anche una casa a Firenze in via Fiesolana, ma non per proprio uso, bensì data a pigione per ottenere un’altra rendita.
Da tutto ciò si può dedurre che Francesco fosse molto legato al nostro territorio da relazioni parentali che venivano da lontano in quanto la famiglia di sua madre Maria, la stirpe dei Del Campana, viveva a San Godenzo e quella di suo padre, la stirpe dei Buonamici, a Dicomano. Leggendo con attenzione le carte che riguardano Francesco si scoprono particolari interessanti. Alla Fine della lettera con la quale dedica a Baccio Valori il suo opuscolo “Discorsi poetici nell’Accademia Fiorentina in difesa d’Aristotile” troviamo il luogo e la data in cui l’ha scritta: dalle Pancole il 19 di settembre 1587. Ed è proprio questa la località in cui aveva scelto di vivere, dove si recava tutte le volte che lasciava Pisa, dove si trovava la villa materna, con le sue terre, i suoi servitori e lavoratori e sua madre vedova che aveva già perso anche gli altri tre figli: Pagolo, Piero e Filippo.
Infatti se controlliamo l’arroto, cioè la voltura, del 1603 troviamo l’elenco delle sostanze che aveva ereditato dalla madre Maria Del Campana morta il 7 maggio dello stesso anno, la quale a sua volta aveva ereditato dalla propria madre Lessandra, vedova di Ser Giovanni Del Campana, morta nel 1575: un podere con casa da lavoratore e da signore nel Popolo di San Bavello, Podesteria di Dicomano, luogo detto le Pancole; un pezzo di terra lavorativa e ulivata di staia 4 in luogo detto a Buggiano; più pezzi di terra a Samprognano, Pian dell’Isola e la Casella. Le Pancole, luogo posto difronte alla Pieve di S. Babila al di là del fiume Comano, a metà strada fra Dicomano e San Godenzo, dove aveva l’opportunità di osservare la natura e studiarne tutti i fenomeni.
Ed è ancora qui che ormai infermo ma sano di mente e di intelletto il 23 settembre 1603 chiese al Pievano Raffaello Tenducci di stilare il suo testamento perchè dopo la sua morte “non sorgano liti o inimicizie”. Un documento che conferma il suo attaccamento alla famiglia e al territorio, il rispetto verso le persone di qualsiasi ceto sociale e il desiderio di formare i giovani per affrontare lo scorrere della vita e osservare il divenire della natura. Chiede di essere sepolto nella Pieve di S. Babila nella quale lui stesso afferma che esiste la Cappella dei Buonamici. Lascia a Bartolommeo, suo servitore, un letto fornito cioè saccone, coltrice, materassa, coperta, primaccio e legname con due paia di lenzuola e scudi 20 di lire 7; lascia a Batista, figlio di Antonio fratello di Bartolommeo, la metà della cifra che serve per matricolarsi (cioè per laurearsi) e “tutti i suoi panni da dosso lani e neri”; a madonna Gostanza e a madonna Caterina, sue serve, 5 staia di grano e 5 di marroni e 3 barili di vino per ciascuna; lascia a Fallo suo lavoratore alla Casa Nuova (Orticaia) la metà del suo debito “e da lui sia riscosso con carità e non per forza”; lascia a Goro di Bastiano, lavoratore alle Pancole, la metà del debito che ha. Infine nomina suo erede universale Francesco Maria figlio di Guido di Giovanni di Martino Guidi d’Anterigoli con la clausola che debba laurearsi e aggiungere il suo cognome; potrà entrare in possesso di tutto solo dopo aver compiuto 18 anni ma i beni saranno vincolati in fidecommessi e non si potranno vendere per nessuna ragione. Nel caso che mancasse l’erede potrà succedergli suo fratello tuttavia, se la linea di discendenza dovesse estinguersi, con gli introiti dei fidecommessi dovranno essere fatte delle provvisioni per tre studenti di Dicomano e San Godenzo affinchè possano laurearsi.
Da notare ancora una volta l’importanza che hanno per lui questi due luoghi, le radici delle sue origini, le sorgenti del suo sangue. Il 29 settembre 1603 il nostro morì nella sua villa delle Pancole, dunque non a Orticaia. Il piccolo Francesco Maria figlio di Guido, tutore fino alla maggiore età, e di Caterina di Zanobi Passerini ereditò tutti i beni di Dicomano, derivanti dalla famiglia Buonamici, e tutti i beni di San Godenzo, derivanti dalla famiglia Del Campana. Ma nel 1612 il Magistrato dei Pupilli autorizzò la vendita del podere delle Pancole per sanare un vecchio debito. L’acquirente fu Antonio di Giovanni Fontana che pagò ben 1502 fiorini ! Il piccolo erede crebbe e si sposò, ma non ebbe figli. Passarono gli anni e, ormai infermo, il 23 agosto del 1669, mentre si trovava nella sua casa fiorentina nel popolo di San Pier Maggiore, fece redigere il suo testamento dal notaio Noferi Calici lasciando tutti i suoi averi all’ amatissima moglie Lucrezia Cassiani, ben sapendo di non agire molto correttamente e infatti come testimoni non sottoscrissero personaggi che conoscevano la storia della sua ricchezza, ma semplici lavoratori dei paraggi: Giovanni del fu Tommaso Maiolfi calzolaio, Tommaso del fu Antonio Perissi bastiere, Giovan Battista del fu Pietro Paolo del Fede linaiuolo, Niccolò del fu Andrea Marinari barbiere, Giovanni del fu Domenico Rustichelli barbiere, Lorenzo del fu Andrea Barberulli lanciaio, Biagio del fu Donato Stacciuoli servitore.
Il 22 novembre 1670 Francesco Maria Guidi morì “senza figlioli e discendenti” così Pier Lorenzo Bianchi, rappresentante dello Studio Pisano, per mezzo del Podestà di Dicomano, prese possesso dei beni. La signora Lucrezia Cassiani si oppose immediatamente a questo provvedimento, ma il Magistrato Supremo il 2 gennaio 1671 confermò la sentenza a favore dello Studio Pisano per tutti quei beni provenienti dall’eredità Buonamici. La signora non demorse e chiese di essere risargita di 2000 fiorini per i miglioramenti fatti dal marito nel tempo alle proprietà e di restarne padrona pagando le tre rette per gli studenti.
La questione venne definitivamente chiusa col liquidare all’avida vedova 700 fiorini. A questo punto era necessario incaricare un funzionario responsabile che potesse essere più presente sui beni per controllarne le condizioni, gestire i consolidamenti alle strutture e la manutenzione alle coltivazioni e al bestiame; venne quindi nominato Raimondo Cocchi di Borgo San Lorenzo. Finalmente, nel 1684, giunse il momento di scegliere tre studenti per mandarli ad “addottorarsi” ma sorse un altro problema: non esistevano in quei luoghi ragazzi abbastanza preparati per andare all’Università. Furono allora nominati i primi tre allievi (Anton Maria di Ottaviano Fontani di San Godenzo, Iacopo di Giuliano Passerini e Giovanni di Domenico Passerini di Dicomano) che mostravano buona predisposizione agli studi, e furono mandati inizialmente nel Collegio Eugeniano di Firenze, con l’approvazione del Granduca. Nel 1689 fu deciso di dare a livello i possedimenti in modo da avere una rendita più che sufficiente a pagare la retta dei giovani e nello stesso tempo ad avere una famiglia che vivesse in loco e coltivasse i terreni. La famiglia che ottenne il contratto fu quella dell’abate Francesco Salvadori e i poderi erano quelli di Orticaia: Poggio, Fonte e Casanuova.
L’Opera Pia di Francesco Buonamici, traccia concreta del suo passaggio sulla terra, ha permesso nei secoli a tanti ragazzi di studiare confermando la sua vocazione all’insegnamento e dichiarando al mondo le sue origini: nato a Orticaia (Dicomano) e morto alle Pancole (San Godenzo). Troviamo conferma in “Bibliografia storico-ragionata della Toscana” di Domenico Moreni, canonico della Basilica di S. Lorenzo di Firenze, pubblicata nel 1805, dove al titolo già citato dell’orazione funebre in onore del celebre Francesco Buonamici fu aggiunta la dicitura “oriundo di Dicomano”. E ciò inorgoglisce tutti noi abitanti del contado.
Susanna Rontani
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – settembre 2022
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