Giuseppe Sdruccioli. Una storia dimenticata, per il Giorno della Memoria
PALAZZUOLO SUL SENIO – La ricerca delle vicende subite dal mio nonno materno durante la seconda guerra mondiale non è stata facile e priva di difficoltà. Innanzitutto per il fatto che lui è morto in anni in cui ancora si faceva fatica a parlare di queste cose benché pubblicazioni importanti per la memoria della deportazione fossero già state pubblicate come “Se questo è un uomo” e “Diario clandestino”, ma la maggioranza dei reduci rimarrà muta ancora per parecchi decenni. Mia nonna stessa affermava di non sapere quasi nulla di quel periodo ed è morta, nel 2015, senza raccontare molto di quel periodo. È stato dopo la sua scomparsa che è nata la voglia di dare voce a quel tempo cercando eventuali notizie.
Innanzitutto l’unico legame che avevo con questa storia passava dall’assegno che, mensilmente, giungeva alla mia nonna Natalina dalla Germania e che rimaneva in bella vista nella vetrina per una settimana prima di essere speso. Quando dall’assegno si passò al bonifico la cosa perse molta della sua poesia. Eppure quel riconoscimento di ben 86 euro e 27 centesimi era frutto di lunghe trattative fra i governi dei due Stati e aveva trovato una soluzione solo nel 1961 con la firma del trattato che obbligava i tedeschi al pagamento dei danni di guerra. Fra questi “danni” anche gli anni che il mio nonno aveva fatto, prigioniero in Bassa Sassonia.
Ho iniziato le mie ricerche dall’ANED di Prato che nulla sapeva e che mi ha indirizzato alla Croce rossa di Ginevra dove, anche loro, nulla avevano in archivio e mi hanno consigliato di rivolgermi a Bad Arolsen dove esiste il centro di documentazione tedesco per la deportazione. Dopo un anno e mezzo, nel novembre del 2018, mi hanno risposto inviandomi alcune copie dei documenti dove figurava il nome di Giuseppe Sdruccioli fra tanti altri nomi di italiani che avevano avuto la sua stessa sorte. Infine sono riuscito a mettermi in contatto con Torsen Kleiber, storico di Bomlitz dove era il lager di mio nonno, il quale mi ha inviato la sua foto segnaletica, così malinconicamente uguale a quella dei migliaia suoi compagni di sventura in quegli anni.
La storia di nonno Giuseppe Sdruccioli, classe 1907, chiamato dagli amici “fasò” ovvero “fagiolo” dalla particolare conformazione del viso, era iniziata a Palazzuolo nell’estate del 1942 quando, in ottemperanza ad una clausola del Patto d’acciaio che prevedeva di inviare in Germania gli “indesiderati” che avrebbero supplito alla carenza di mano d’opera locale impegnata nelle operazioni belliche, si ritrovò operaio insieme ad altri centomila italiani che il regime aveva voluto togliersi di mezzo. Essendo lui Socialdemocratico ricadde nel gruppo dei candidabili a questa esperienza. Il 28 settembre 1942 arriva a Bolmitz dove viene impiegato nella fabbrica EIBIA, che produceva polvere da sparo, e internato nel campo di Benefeld VI. Per quasi un anno le condizioni di vita sono accettabili, ma tutto cambia dopo l’8 settembre 1943 quando l’Italia firma l’armistizio. Gli operai, allora, diventano nemici che la Germania si ritrova in casa e le loro condizioni peggiorano considerevolmente. Da allora la sua permanenza nel campo si consuma simile a quella di migliaia di altri uomini: sfruttati per diciassette ore al giorno, costretti a mangiare brodaglie che facevano rimpiangere la bucce di patate e “pagati” a nerbate sulla schiena. La sua esperienza in quel luogo ebbe termine il 9 aprile 1945 quando gli Inglesi liberarono il lager. Da quel giorno iniziò una vera e propria corsa verso casa dove lo aspettava la fidanzata che si era rifiutata di pensarlo morto e, dopo essersi ritrovati, celebrarono il primo matrimonio del dopoguerra nel comune.
Era il 13 ottobre 1945. L’anno dopo nacque mia zia Luisa e, nel 1949, mia mamma Anna. Purtroppo le privazioni subite durante la prigionia e la durezza del suo lavoro di facchino della legna con i muli, lo fiaccarono nel fisico conducendolo alla morte ad appena 44 anni, nel 1952.
Quindi questo nonno, morto giovane e che nella vita ben poco aveva avuto di gioia e molto di dolore si consumò senza lasciare molte testimonianze.
Ho ritenuto un dovere morale fare queste ricerche, sia per la mia famiglia sia per la comunità di Palazzuolo che poco ha approfondito questo tema collettivo, e ho cercato di dare la giusta dignità a questo passaggio della vita di “Fasò”. Dopo alcune ricerche sono venuto a conoscenza della possibilità di ricevere, postuma, la medaglia d’onore dei deportati durante la seconda guerra mondiale e ho fatto domanda. Con particolare piacere il 27 gennaio 2021 abbiamo ricevuto la medaglia in prefettura a Firenze dalle mani del Prefetto Alessandra Guidi. Unico rammarico l’assoluto silenzio e il totale disinteresse delle istituzioni locali di Palazzuolo.
Comunque mi consolo pensando di aver “ritrovato” mio nonno nonostante siano passati così tanti decenni e, quasi, di averlo potuto finalmente conoscere, allora potrò considerare completa la ricerca e compiuto il dovere di rendere la giusta memoria e la dovuta dignità alla sua persona e alla sua triste esperienza.
Gianfranco Poli © Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 23 Gennaio 2022