Margherita Guidacci
“La mia carriera di rabdomante cominciò […] improvvisamente a diciannove anni […]. Per bacchetta usavo, di volta in volta, un ramo di salice appena tagliato e ripulito dalle foglie; e il pendolo era un tappo di vetro, da bottiglia, appeso ad uno spago. Non mi sono mai accorta di sentire altre sostanze, oltre l’acqua, ma all’acqua ubbidivo come a un richiamo d’amore. Pensavo che avrei continuato a cercare acqua in tutto il Mugello, per tutta la vita, e che dopo morta mi avrebbero fatto una statua sopra a una fontana”.
(Memorie di rabdomante, in “Il Popolo”, 14 luglio 1957, p. 4; ora anche in Prose e interviste di Margherita Guidacci, a cura di I. Rabatti, Editrice C.R.T., Pistoia, 1999, pp. 28-30).
È tra Firenze, dove nasce il 25 aprile 1921, e Scarperia, paese d’origine della famiglia dove matura quel legame con la natura che sarebbe diventato motivo ricorrente nei suoi scritti, che Margherita Guidacci trascorre l’intera giovinezza, frequentando la casa di Ponzalla di Nicola Lisi, cugino della madre, e, per suo tramite, alcune fra le più importanti personalità dell’ambiente culturale fiorentino: Giuseppe De Robertis, Francesco Maggini, Piero Bargellini, Carlo Betocchi. Conseguita nel 1943 la laurea in Lettere discutendo con Giuseppe De Robertis una tesi sulla poesia di Ungaretti, inizia a collaborare a varie riviste letterarie e approfondisce il suo interesse per la letteratura inglese e anglo-americana: risalgono all’immediato dopoguerra la lettura e lo studio per lei decisivi della poesia di Emily Dickinson e di T.S. Eliot, tra gli autori cui consacrerà in seguito un’intensa e riconosciuta attività di traduttrice (si ricordano T.S. Eliot, Morte degli elementi, Alla Madonna, in “Rassegna”, gennaio 1946 e Burnt Norton, in “Paesaggio”, giugno-luglio 1946, e i volumi E. Dickinson, Poesie e lettere, Sansoni, Firenze, 1961 e E. Dickinson, Poesie, Rizzoli, Milano, 1979).
Nel 1946 pubblica presso Vallecchi la sua raccolta poetica d’esordio, La sabbia e l’Angelo: nella Firenze degli anni Quaranta la Guidacci è chiamata inevitabilmente a confrontarsi con la corrente allora egemone dell’ermetismo, verso cui afferma una profonda incompatibilità, abbracciando un’esigenza di lucidità e chiarezza cui resterà fedele lungo tutto l’arco della sua produzione poetica. Nel 1958 lascia Firenze e con la famiglia si trasferisce a Roma, dove prosegue la sua prolifica attività di traduttrice, di saggista e pubblicista. Dopo aver insegnato nelle scuole superiori, nel 1972 si aggiudica una cattedra di Letteratura anglo-americana presso l’Università di Macerata e poi, nel 1981, all’Istituto di Magistero della Libera Università “Maria SS. Assunta” di Roma. Margherita Guidacci muore a Roma il 19 giugno 1992.
Da sùbito orientata verso una poesia dalla forte connotazione astratta e metafisica (La sabbia e l’angelo, 1946), e pervasa da una costante tensione religiosa (Morte del ricco, 1954; Giorno dei Santi, 1957), la Guidacci ha calato tale propensione anche nel racconto della propria sofferenza psichica, trasformando la narrazione di una penosa degenza in istituto psichiatrico nella rappresentazione di uno dei volti del doloroso destino dell’uomo (Neurosuite, 1970). Similmente anche la poesia di occasione civile, come i versi composti in occasione della strage della stazione di Bologna del 2 agosto 1980 ad opera di terroristi dell’estrema destra, ha come chiave di lettura l’indole fratricida dell’umanità simboleggiata dal delitto originario di Caino (L’orologio di Bologna, 1981). Persino le raccolte più propriamente votate alla riscoperta di un’intima felicità di affetti (Inno alla gioia, 1983) mai slegano l’esperienza terrena dalla consapevolezza della morte e dall’attesa di un’eternità consolatrice. L’ultima raccolta di Margherita Guidacci, Anelli del tempo, è uscita postuma a Firenze nel 1993.
Lo stile prosastico e sempre limpido di Margherita intreccia ai motivi naturali, scritturali e letterari frequenti spunti autobiografici e si serve di un apparato metaforico in cui il dato paesaggistico è spesso protagonista. Per la Guidacci dunque l’orizzonte del Mugello (titolo, tra l’altro, di una poesia compresa nella raccolta Paglia e polvere) è sia un indimenticato punto d’origine cui tornare con gioia sia una precisa visione del mondo che genera senso e associazioni poetiche. Il legame tra autenticità letteraria e genuinità del territorio è insomma indissolubile, come dichiara lei stessa in un’intervista del 1980: “se la poesia sarà vera, per il solo fatto di esistere ammonirà e consolerà, sarà messaggio e guida; come lo sono gli alberi, dalle radici alla cima, i fiumi, dalla sorgente alla foce e, sebbene in modo più difficile da interpretare, perfino il cielo e le pietre” (Intervista a Margherita Guidacci, a cura di R. Berti Sabbieti, in “Riscontri”, luglio-settembre 1980, pp. 117-119; ora in Prose e interviste… citt., pp. 132-134).
di Benedetta Aldinucci e Silvia Sferruzza
In collaborazione col Dipartimento di Ateneo
per la Didattica e la Ricerca dell’Università per Stranieri di Siena
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