Lo squalo gigante di Crespino del Lamone
Lo squalo gigante
Come già scritto, nei sedimenti di mare profondo della F.ne Marnoso-arenacea i resti di vertebrati sono estremamente rari e rappresentati quasi esclusivamente da pochissimi ed isolati denti fossili di pesci. Tra questi, il ritrovamento di gran lunga più importante e spettacolare è avvenuto recentemente nella limitrofa alta vallata del Lamone in località Bibbiana, fra Crespino del Lamone e Casaglia.
Qui, nel 2019, in strati torbiditici del Miocene Medio (Serravalliano) è stato scoperto un magnifico dente di quello che deve aver rappresentato il più grande pesce predatore di tutti i tempi, lo squalo gigante Carcharocles megalodon; benché sia vissuto dal Miocene al Pliocene inferiore (tra 23 e 3,6 milioni di anni fa), sembra che nel bacino del Mediterraneo sia conosciuto solo per il Miocene. Diffuso nella maggior parte degli oceani del passato, a parte le regioni polari, prediligeva le aree costiere con acque calde o temperate. Il nome specifico “megalodon”, dal greco “grande dente”, evidenzia la sua principale caratteristica: il dente fossile da Crespino del Lamone è alto ben 12 cm ma sono segnalati esemplari fino a 18 cm (per confronto i denti di squalo bianco non superano i 5,8 cm!). Date le enormi dimensioni (si pensa che potesse raggiungere i 16/18 m di lunghezza ed arrivare a 35/50 tonnellate di peso!), la sua dieta doveva richiedere un’ampia disponibilità di cibo ed essere basata quasi certamente su grossi mammiferi marini, prevalentemente cetacei come quello presentato nella mostra e rinvenuto in rocce simili e della stessa età! Sulle cause dell’estinzione di C. megalodon gli scienziati ipotizzano la probabile concomitanza di più fattori avversi quali cambiamenti nella distribuzione delle popolazioni dei grandi mammiferi marini, le loro principali prede, forse associati ad un abbassamento della temperatura e, inoltre, alla crescente competizione con altri predatori più efficienti (grazie alla caccia in gruppo) come le orche.
Basandosi sulla notevole somiglianza nella forma e nella struttura dei denti, in passato questo animale è stato classificato nel Genere Carcharodon poiché si riteneva che dovesse appartenere alla stessa linea evolutiva dell’attuale squalo bianco (Carcharodon carcharias), della Famiglia Lamnidi. Attualmente invece la maggior parte degli scienziati ipotizza che le apparenti similitudini della dentatura siano più che altro frutto di un fenomeno di convergenza evolutiva e si preferisce collocarlo nel Genere Carcharocles (ma anche Otodus), nella Famiglia estinta degli Otodontidi.
In considerazione della sua notevole valenza scientifica, il reperto originale da cui i paleontologi dell’Università di Firenze hanno ricavato il calco è stato depositato presso il “Museo Geologico G. Capellini” dell’Istituto di Scienze geologiche dell’Università di Bologna.
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – maggio 2024