Oratorio di Sant’Onofrio a Dicomano

Oratorio di Sant’Onofrio
DICOMANO – Il profilo un po’ allungato degli occhi sottolinea i tratti di un volto dolcissimo, leggermente ovale, appena reclinato verso il Bambino benedicente. Il manto della Vergine è tempestato da una miriade di stelle lucenti, le corone argentate sul capo di entrambi esaltano il senso di regalità delle figure. Questi i tratti somatici della Madonna dello Spedale, l’icona sacra da sempre amata e venerata dal Popolo di Dicomano, simbolo dell’oratorio di Sant’Onofrio nella parte più settentrionale del paese. Sulle origini e sulla primitiva collocazione di questa superba opera a fresco, esistono note leggendarie che poco aiutano nella corretta identificazione del dipinto ma che conservano il fascino di eventi tramandati oralmente da generazioni antichissime e profondamente radicati nella tradizione popolare.
Un primo racconto vuole infatti, che la sacra immagine sia giunta in paese trascinata da una piena violenta del torrente Dicomano nei primi anni dopo il Mille anche se una seconda leggenda più diffusa e declamata, narra di un’apparizione della Vergine ad una fanciulla del luogo intenta ai suoi giochi d’acqua sulle rive dello stesso torrente. L’eccezionalità dell’evento avrebbe scosso l’animo e le coscienze dei popolani tanto da rendere urgente la necessità di elevare un’edicola o una maestà in onore della Madonna, costruzione che poi fu realmente realizzata sulla via principale a brevissima distanza dal luogo dell’apparizione.
Tracce di questo primo edificio appaiono consultabili in un documento del 1480, quando un gruppo di religiosi dediti all’opera assistenziale decidevano di fondare ed attrezzare in Dicomano un luogo di rifugio per i pellegrini in procinto di inerpicarsi in Appennino. Fin dall’inizio questo nuovo hospitale per i viandanti fu dotato di una piccola cappella intitolata a Sant’Onofrio. Al suo interno si custodiva quella singolare immagine della Madonna, ritenuta da subito miracolosa per i dicomanesi e meta di rifugio spiritale per i venditori che scambiavano le proprie merci nel più importante “mercatale” del Mugello, allestito nella piazza principale del paese.
Secondo il costume del tempo, a sostegno di questo organismo di elevato valore sociale, sarebbe nata poco dopo una Compagnia, anch’essa sotto lo stesso titolo di Sant’Onofrio i cui capitoli furono riconfermati dalle autorità clericali cittadine nel febbraio del 1589.
Nella prima metà del Settecento, cappella e hospitale avevano ormai colto l’apice della propria efficienza, assistiti e controllati dal Magistrato del Bigallo, l’ente che aveva in cura i maggiori luoghi di accoglienza del Contado. Ma la storia stava per generare una delle pagine più cupe per il futuro dell’hospitale. Infatti, il 21 marzo del 1785, Pietro Leopoldo Granduca di Toscana, decretava la soppressione delle Compagnie con il divieto di ricostituire in futuro qualsiasi organismo di aggregazione laica o religiosa. A ciò si aggiungevano altre esigenze di tipo strutturale che prevedevano l’imminente demolizione dell’ hospitale e della sua cappella, ritenuti di ostacolo all’allargamento della nuova strada forlivese, che attraversando il borgo proseguiva verso la Romagna.
Pietro Dalle Pozze, facoltosa personalità del luogo, consapevole del valore devozionale conseguito dal piccolo luogo di culto, chiese ed ottenne dal Granduca Pietro Leopoldo, facoltà per la ricostruzione di un nuovo oratorio privato, garantendo tuttavia la normale fruibilità per il culto pubblico. Progettazione e costruzione del nuovo tempio furono affidati a Giuseppe del Rosso, architetto fiorentino dell’Istituto delle Belle Arti, che realizzò il lavoro fra il 1792 e il 1795, anno quest’ultimo della solenne consacrazione impartita da Mons. Antonio Martini vescovo di Firenze. Nel 1825 proprietà e patronato dell’oratorio furono concessi alla famiglia Vivai e successivamente a quella del marchese Bartolini Salimbeni Vivai, che lo ereditò nel 1870.
Terremoti e guerre accaduti nel secolo trascorso, avevano scalfito solo marginalmente l’edificio, anche se l’instabilità di alcuni elementi interni ne avrebbero determinato la chiusura alla fine degli anni Sessanta del Novecento.
Gli eredi di Pietro Bartolini Salimbeni Vivai lo donarono alla pieve di Santa Maria nel 1980 ma solo fra il 1989 ed il 1995 si sarebbe compiuto quel radicale restauro che finalmente ci ha restituito il tempio in tutta la sua bellezza, uno dei maggiori esempi di architettura neoclassica della Toscana.
Di generose dimensioni, prossime a quelle di una grande chiesa e tali da rendere quasi inappropriato il termine di oratorio, l’edificio si propone con un prospetto imponente, preceduto da un portico rialzato di cinque gradini e sorretto da quattro colonne con capitelli ionici che sostengono un elegante timpano sopra il quale trovano posto le statue di due angeli e quella dell’Immacolata. Sul fianco sinistro, nella parte posteriore dell’edificio, è sistemato un singolare campanile a ventola, con sommità cuspidata, tre fornici ed unica campana.

Il campanile a ventola

Oratorio di Sant’Onofrio – Interno
L’interno è arioso, ad unica navata, illuminato dalle ampie finestre aperte in prossimità della cupola che rilasciano suggestivi effetti di luce sugli stucchi e sui marmi che decorano le pareti laterali. I due cori rialzati e contrapposti, delimitati da eleganti balaustre, offrono un colpo d’occhio completo sull’aula pavimentata a scacchi bicolore e delimitata da un impianto a sedici colonne con fastosi capitelli corinzi che sostengono arcate e cupole finemente decorate.

Volte e decorazioni della cupola

Il ricco apparato decorativo delle pareti laterali
Sulla parete sinistra dell’aula è un’Immacolata Concezione fra i Santi Onofrio, Antonio Abate, Rocco e Sebastiano, olio su tela dipinto nel Seicento da Lorenzo Lippi. L’opera proveniente dalla cappella Vivai nella sovrastante Villa del Lago, fu a lungo pala dell’Altar Maggiore nell’oratorio di Sant’Onofrio.

Immacolata Concezione – Lorenzo Lippi, sec. XVII
Sulla parete in Cornu Epistolae è visibile un altro olio su tela, sulla cui paternità restano oggi molte incertezze. Alcuni critici vi identificano il Miracolo di San Francesco Saverio realizzato da Giovan Camillo Ciabili, pittore formatosi nella bottega del Pignoni, altri invece vi colgono la mano di Francesco Botti, altro pittore operante in ambito fiorentino tra la fine del XVII e l’inizio del secolo successivo.

Miracolo di San Francesco Saverio – sec. XVII
Sulla stessa parete ma più prossimo al presbiterio, è il dipinto murale della Temperanza, ultima testimonianza di quattro opere monocromatiche che rappresentavano le Virtù Cardinali, scomparse gradualmente per dar spazio alle sepolture delle famiglia Vivai.

L’Altar Maggiore
L’Altar Maggiore è in marmo bianco di Carrara, finemente scolpito e decorato e precede la splendida Madonna dello Spedale collocata in posizione elevata nel piccolo coro.

L’elegante cornice lignea che custodisce la Madonna dello Spedale
Traslato qui fra il 1835 e il 1840 dal demolito hospitale per i pellegrini, l’affresco appare raccolto in una ricca cornice a raggiera di gusto barocco. Questo pregevole esempio di intaglio di grandi dimensioni (metri 5,75×3,10) crea un effetto di grande suggestione sul dipinto e nonostante la discordanza degli stili, rende prestigio all’immagine che racchiude. L’irregolarità dei raggi emergenti da un compatto stuolo di nubi sembra esaltare il senso di luce, il bagliore divino che scaturisce dall’immagine custodita.

Madonna dello Spedale
L’opera a fresco raccolta in questo scrigno di legno dorato, raffigura la Madonna col Bambino, dipinta con la veste rossa ed il manto azzurro, impreziosito da stelle dorate. Il Bambino sta in piedi sul ginocchio destro della Vergine, indossa una tunichetta a stringhe e mostra un cartiglio nella mano sinistra in cui si legge Rex Mariae Filius. L’opera potrebbe appartenere ad un ignoto pittore di scuola fiorentina ma lo stato del dipinto, più volte rimaneggiato, lascia supporre che l’immagine sia molto più antica. Vi si rilevano infatti, alcune analogie con pitture adottate in chiese siriane e dell’Anatolia; i tratti dei volti, in particolare le arcate sopraciliari, richiamano a soluzioni adottate dal Maestro della Maddalena nel XIII secolo o dal Maestro di Sant’Agata verso la metà del XV secolo.

Cristo Crocifisso – Giuseppe Gaetano Cavallini, sec. XVIII
Dietro l’Altar Maggiore, sopra un piccolo altare, è la tela del Cristo Crocifisso tra i Santi Agostino e Carlo Borromeo, di Giuseppe Gaetano Cavallini (sec. XVIII) e di fronte la tela sagomata raffigurante il Transito di San Giuseppe di scuola toscana del XVIII secolo.

Transito di San Giuseppe – sec. XVIII
Un luogo di grande valore spirituale dunque, ma anche scrigno di un patrimonio architettonico e artistico notevole. Un luogo in cui si riconoscono i caratteri di una devozione popolare unica, inscindibile dal culto verso figure simbolo come la Madonna dello Spedale, quell’immagine cui chiedevano intercessione e conforto non solo i dicomanesi ma anche personalità di rango del resto del Mugello, come Bianca Capello moglie di Francesco de Medici, che proprio a questa icona sembra avesse chiesto grazia per una maternità che tardava ad arrivare.
Massimo Certini
©️ Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – agosto 2020