Giovanni Malesci
Giovanni Malesci nacque il 13 settembre 1884 a Vespignano, uno dei borghi che compongono il comune di Vicchio, nel Mugello. Terra assai ricca di tradizione e gloria artistica, questo lembo di collina Toscana: proprio Vespignano, infatti, diede i natali a Giotto di Bondone, mentre a San Michele di Rupecanina, antica frazione di Vicchio, vide la luce il Beato Angelico.
Di famiglia semplice, Malesci cominciò presto a lavorare come artigiano. Sfruttava però ogni momento libero per dedicarsi alla sua vera passione, il disegno. I suoi schizzi, incredibilmente freschi e precisi, stupirono prima i compaesani e poi il pittore fiorentino Raffaello Sorbi (1844-1931), interpellato da un amico della famiglia Malesci affinché esprimesse un giudizio sul talento del giovane. Già celebrato come enfant prodige e promessa dell’arte italiana, vincitore di importanti concorsi ancor prima di compiere 18 anni, Sorbi si era poi parzialmente smarrito tra romanticismo, verismo e soggetti settecenteschi; era comunque riuscito a ottenere una cattedra all’Accademia di Firenze. Il pittore, forse rivedendo se stesso nel quindicenne Malesci, tentò di convincere i genitori a iscriverlo all’Accademia. Tuttavia, il bilancio domestico non poteva prescindere dall’apporto di Giovanni, che rimase a Vicchio.
Quattro anni più tardi, un altro artista – ben più talentuoso del primo – rimase colpito dal tratto di Malesci. Alcuni parenti fiorentini, infatti, portarono un disegno del ragazzo a Giovanni Fattori (vedasi disegno di Malesci del 1903, “ritratto di giovane donna”, bozzetto allegato), che decise di accoglierlo nel suo studio a titolo gratuito.
Uomo schietto, umile e al tempo stesso orgoglioso, Fattori si era sempre tenuto alla larga dai salotti e dalle frequentazioni che avrebbero potuto garantirgli maggiore gloria e ricchezza; allo stesso modo, non aveva mai rinunciato al suo stile e alla sua concezione dell’arte per solleticare il gusto del mercato. L’unico riconoscimento ufficiale ottenuto fino ad allora era stata la nomina a professore di perfezionamento in pittura presso l’Accademia fiorentina, con un compenso di duecentoquaranta lire annue, una catasta di legna e l’uso gratuito di uno studio. In cambio di questi “privilegi”, si era impegnato a tenere a lezione uno o due scolari senza chiedere alcun compenso.
Gli allievi di Fattori appartenevano ai più diversi ceti sociali. A quelli accolti gratuitamente (spesso ben più numerosi dei due previsti), si aggiungevano infatti gli alunni privati: i primi provenivano in genere da famiglie povere, mentre quelli che potevano permettersi di pagare per ricevere gli insegnamenti del maestro avevano estrazioni più elevate. Tra questi ultimi figuravano anche i figli – e le figlie – di alcune famiglie della borghesia e della nobiltà fiorentina, non sempre dotati di talento e sincera passione per l’arte.
Fattori, non c’è da meravigliarsi, si legava soprattutto agli studenti meno abbienti, che sceglieva personalmente. Li seguiva con particolare attenzione e con maggiore severità; pretendeva da loro continui miglioramenti e non tollerava risultati inferiori alle potenzialità che intuiva in ciascuno di essi. Tanto era esigente con Malesci, quanto era indulgente, per esempio, con la contessina Della Chiesa o con Pasqualina Cervone (futura moglie del pittore Armando Spadini).
Furono anni faticosi per Malesci: quando non era impegnato nello studio del maestro, lavorava nella bottega di carta da parati gestita dai parenti fiorentini. Tuttavia, i suoi sforzi furono ricompensati dalla sincera stima di Fattori, sentimento che presto si trasformò in amicizia. Cominciò a frequentarne la casa, dove conobbe, tra gli altri, lo scrittore Renato Fucini, la scrittrice e attivista socialista Anna Franchi e lo storico dell’arte Jacopo Cavallucci. Si guadagnò anche la fiducia della signora Fanny, terza moglie di Fattori, che poco prima di morire gli chiese di prendersi cura del marito. Nel frattempo, il giovane pittore aveva cominciato a esporre: l’esordio era avvenuto nel 1904, presso la Società delle Belle Arti di Firenze
Quando, il 30 agosto 1908, anche Fattori si spense, Malesci scoprì di essere stato nominato suo erede universale. Accolse la notizia con commozione mista a preoccupazione: accettare quell’eredità, per lui, significava impegnarsi solennemente a conservare l’opera del grande macchiaiolo e a rispettarne le volontà, compito non semplice. In realtà, nel corso della sua lunga vita, Malesci non si sarebbe limitato a tutelare da speculazioni il corpus artistico del maestro, ma avrebbe costantemente lavorato per promuoverne la memoria presso la critica e l’opinione pubblica, contribuendo in modo sostanziale alla sua rivalutazione.
Una volta appresi e metabolizzati gli insegnamenti di Fattori, per la crescita artistica del pittore di Vicchio – e ancor prima per la sua esperienza esistenziale – furono particolarmente importanti gli anni conclusivi della Prima guerra mondiale, trascorsi sotto le armi. Sposatosi nel 1915 (e diventato padre di Anna Maria, la sua prima figlia), nel 1917 Malesci fu infatti chiamato a dare il suo contributo alla patria. Soldato semplice automobilista, visse la guerra in seconda linea, accanto al generale d’artiglieria Enrico Caviglia. Sconvolto, assistette alla rotta di Caporetto. In quanto pittore, tra un incarico e l’altro gli fu anche affidata la responsabilità dello stacco e della messa in sicurezza di un affresco del Tiepolo che impreziosiva il soffitto di una villa di Nervesa (in provincia di Treviso), operazione che condusse a termine esponendosi a gravi rischi: l’edificio, infatti, era esposto al fuoco nemico. Ben presto dal generale Caviglia, appassionato di arte, ottenne il permesso di dipingere mentre era in servizio. Nacquero così alcune delle sue opere più belle, quadri e disegni in genere di piccole dimensioni, date le condizioni nelle quali furono realizzati.
Negli anni successivi alla fine del conflitto, Malesci prese parte a numerosi eventi artistici di notevole rilievo: tra gli altri, la prima Biennale romana (1921), la Primaverile di Firenze (1922) e i concorsi Stibbert e Ussi (1924, entrambi a Firenze).
Nel 1927 si trasferì a Milano, dove un anno prima le sue opere (esposte nella Galleria L’Esame insieme a quelle di Ruggero Focardi) avevano ottenuto un buon successo. Lo stimolava l’idea di confrontarsi con una realtà più ampia e meno provinciale di quella fiorentina: seppe vincere la sfida, affermandosi anche in Lombardia. Effettuò saltuarie sortite a Genova e Roma (per le Quadriennali), ma Milano era ormai diventata la “sua” città. Nel 1929 una personale alla Galleria Micheli ebbe l’onore di essere presentata da Carlo Carrà, che già aveva dedicato a Malesci parole d’elogio. Sempre nel capoluogo lombardo, il pittore avrebbe avuto la sua consacrazione nel 1949, con un’importante mostra alla Galleria Bolzani e con la pubblicazione della prima monografia a lui dedicata, curata da Giorgio Nicodemi.
Per vincere la nostalgia della regione d’origine, Malesci vi faceva spesso ritorno in estate. I suoi viaggi più importanti – almeno sotto il profilo artistico – furono però quelli che lo portarono sulle coste della Campania e poi in Bretagna, Normandia, Belgio e Paesi Bassi: alla costante ricerca di nuovi tipi di paesaggio e di diverse condizioni di luce, ampliò il suo lessico di pittore studiando i cieli e i profili di luoghi assai diversi tanto dalle colline del Mugello e dalla riviera versiliana, quanto dalle Alpi e dalla Pianura Padana. Ebbe successo anche a Bruxelles, dove, nel 1952, fu allestita una grande mostra di arte italiana che comprendeva un buon numero dei suoi lavori.
Continuò a dipingere e a organizzare mostre con grande vitalità anche dopo aver superato la soglia dei settant’anni; rimasto vedovo, si risposò al termine del 1957. Nel 1964 ebbe luogo a Milano, presso la Galleria Vinciana, l’ultima sua mostra curata personalmente.
Giovanni Malesci si spense il 12 settembre 1969, alla vigilia dell’ottantacinquesimo compleanno.
Nel 1972, la Società per le Belle Arti ed Esposizione Permanente di Milano, la Società delle Belle Arti – Circolo degli Artisti di Firenze e il Comune di Vicchio gli avrebbero reso meritato omaggio, allestendo tre grandi mostre retrospettive sotto il patrocinio del Presidente della Repubblica.
(tratto dal sito www.giovannimalesci.it)
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