La Dogana della Futa, e un amore da scoprire
MUGELLO – Ultimo giorno dell’anno 1972. Avere diciassette anni e andare in vacanza a Pietramala era allora per me il massimo della vita. Soprattutto da quando L. si era innamorata di me, anche se aveva appena sedici anni. Ed io, che vi credete, idem con patatine. Eravamo sempre appiccicati l’uno all’altra, come due siamesi. In quel freddo inverno del 1972 il nostro gruppo decise di passare l’ultimo dell’anno in una casa gestita da amici nei dintorni della Futa. Partimmo con le auto già in dotazione ai più “adulti” della compagnia e finalmente arrivammo al passo dove un enorme muro laterale faceva bella mostra di sé.
Il passo della Futa era temuto dai passeggeri per la violenza dei venti tra Futa e Traversa, ma il Granduca aveva procurato un riparo a queste bufere facendo erigere due lunghi e grossi muraglioni che a guisa di bastioni difendevano le vetture e i passeggeri nei punti del passaggio più esposti al vento.
Poco dopo ci arrestammo davanti a una grande casa squadrata e un po’ lugubre accanto alla strada statale, poco a sud dell’attuale edificio sul passo. L. si avvicinò, mi guardò con i suoi grandi occhi neri e mi sorrise dolcemente, ma nonostante ciò non potei fare a meno di notare le grandi pietre squadrate nella facciata dell’edificio con i maestosi archi in pietra ormai parzialmente murati.
La fabbrica della dogana della Futa fu costruita maestosa e austera, con robuste pietre quadrate per ordine del Granduca Pietro Leopoldo tra il 1788 e i l179, dopo la soppressione della Contea dello Stale. Significativo rimane il fatto che ai tempi dell’antica Contea la strada probabilmente scendeva più a ovest rispetto a dove fu poi collocata questa dogana e dell’attuale percorso, come pare dimostrato dai recenti ritrovamenti archeologici di antiche strade. Il tracciato, che conduceva sotto Santa Lucia, venne probabilmente abbandonato già in antico a causa di una grossa frana.
Entrammo in casa ed ebbi la netta sensazione di un ambiente freddo e poco adatto ad essere abitato da una normale famiglia. Scendendo nel piano seminterrato aperto sul retro verso il fondovalle, questa strana sensazione si accentuò. Seduto sul divano, non ebbi tempo di riflettere ancora. L. mi raggiunse e iniziò a baciarmi. Non aspettavo altro. La ragazza sembrava aver dimenticato il mondo intorno, e in effetti anche gli altri si facevano semplicemente i fatti loro. Le nostre bocche si muovevano insieme alle nostre mani, e il desiderio per entrambi diventò difficile da contenere. Nonostante ciò, mi sorpresi a pensare che quel grande salone anonimo non riusciva a scaldarsi nemmeno con il focolare, nemmeno con il suono altissimo delle musicassette e qualche liquore “proibito” di quelli forti. Nemmeno grazie al mio incontro ravvicinato con L.
Nella dogana della Futa, di terza classe e dipendente da quella più importante delle Filigare, per un certo periodo fu utilizzata per verificate e sottoporre a gabelle le merci che entravano dalla Romagna nel Granducato. Il grande salone seminterrato conteneva la cantina e un grande forno, ma fungeva anche da magazzino dove avveniva lo stoccaggio delle merci sequestrate, mentre nelle camere ai piani superiori alloggiavano le guardie.
Quel giorno non sapevo ancora che l’austera abitazione era stata un tempo la dogana settecentesca della Futa ma, se lo avessi saputo, avrei almeno capito il motivo della mia distrazione e che la Storia del Mugello sarebbe diventata in futuro importante nella mia vita. Con buona pace dei grandi occhi neri di L.
Fabrizio Scheggi
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 2 Maggio 2021